«Custode della memoria storica dell’umanità»: questo è il più solenne dei molti meriti elencati nella dichiarazione della giuria del Premio Grinzane Lattes, che ha attribuito a Margaret Atwood un riconoscimento speciale dell’edizione 2021. Con l’autorevolezza accumulata in cinque decenni di scrittura e attivismo, nel corso dei quali ha attraversato tutti i generi letterari lasciandoci romanzi culto come Il Racconto dell’Ancella (1985), I Testamenti (2019), L’Altra Grace (1996) e la splendida Trilogia di MadAddam (Gli ultimi uomini, 2003; L’anno del diluvio, 2010 e L’altro inizio, 2014), Atwood testimonia con il suo eccezionale e pluripremiato lavoro che «la grande letteratura è sempre socialmente impegnata, perché ritrae la società del tempo e del luogo da cui proviene, affidandone il giudizio ai lettori», e che «il dissidio tra estetica e politica è un argomento tanto ricorrente quanto futile, buono per i critici che hanno bisogno di qualcosa di cui parlare».

SULLA FORZA della letteratura come strumento di conoscenza Atwood si è soffermata nel corso dell’incontro che ha anticipato la cerimonia di conferimento del Premio Grinzane Lattes, in programma oggi alle 17 al Teatro Sociale di Alba (www.fondazionebottarilattes.it), dove terrà una lectio magistralis. Poi sarà presente al Lingotto di Torino domani, alle 15.30, per l’anticipazione speciale del Salone del Libro organizzata in collaborazione con la Fondazione Bottari Lattes.
A dispetto della portata speculativa, teorica, di molte delle sue opere, che prendono ciò che già esiste nel presente o è esistito nel passato facendogli compiere un salto fantasioso nel futuro sulla scorta di sviluppi politici o scientifici attuali, fino a raggiungere conclusioni potenzialmente devastanti, non c’è contraddizione nell’affermazione del binomio letteratura-verità su cui Atwood insiste: «La forza conoscitiva della letteratura è tutta nella capacità delle storie di creare un impatto emotivo. Le storie lo sanno fare molto meglio della scienza. La tavola periodica o una tabella di fatti o una stringa di dati ci consegnano la verità degli elementi, degli atti o dei numeri; ma per poter comprendere il loro significato, noi umani abbiamo bisogno di racconti che ci permettano di apprendere emotivamente. Le storie parlano sempre degli umani, anche quando parlano di conigli».

DA QUESTO PUNTO DI VISTA, non c’è molta differenza tra la grande tradizione narrativa del XIX secolo e la nostra: «Victor Hugo ne I miserabili si concentrava sugli strati più poveri della popolazione raccontando storie di personaggi: se ci avesse dato sfilze di dati, noi non saremmo stati capaci di comprendere la sua società», benché il racconto che ci presenta sia demograficamente e statisticamente accurato.
Ed è proprio questo il problema: «Il rispetto della verità, che si fonda su dati scientifici reali; oggi raccontare la storia di qualcuno che vive nell’epoca della crisi climatica significa rendere la crisi molto più reale di quanto non facciano i numeri. Ma quella storia deve basarsi su proiezioni scientifiche reali, altrimenti è una fantasia; è fantascienza».
Raccontare la crisi climatica, però, presenta ulteriori difficoltà, perché «il clima non è una persona. Può solo funzionare come sfondo su cui inserire le vicende dei personaggi, ma non è di per sé trasformabile in un racconto di finzione. Si possono fare documentari che mostrino l’impatto della crisi climatica in certi luoghi, come accade anche sulle piattaforme televisive. Ma le serie e le narrazioni devono intrattenere, altrimenti – essendo noi umani quel che siamo – ci annoiano, e passiamo ad altro. L’impatto reale sulle coscienze non avverrà necessariamente per mezzo della narrativa, ma per mezzo dell’attivismo nelle comunità». E le sue parole non possono mancare di far cenno ai giovani attivisti di F4F: «Siamo nelle loro mani, e tra poco voteranno: i politici farebbero meglio ad ascoltarli e a prestare attenzione a questo fatto».

SUI FATTI e sulla questione della verità Margaret Atwood reitera la sua preoccupazione: «Mai come oggi la verità è minacciata dalla circolazione, soprattutto su internet, di cose presentate come conoscenza e come fatti quando invece sono falsa informazione, spesso con lo scopo di venderci qualcosa che non dovremmo comprare, o di destabilizzare le nazioni e di metterci gli uni contro gli altri come accade attualmente negli Stati Uniti. L’obiettivo è creare il caos, condizione ideale per l’ascesa di dittature. Chiedersi chi ha interesse nella destabilizzazione e per quali ragioni è la domanda da farsi. Chi ci rimette di più, nel caos, sono le donne, i bambini e le comunità indigene».
Come le donne afghane oggi? Atwood risponde mostrandoci perché è considerata una custode della memoria: dalla sua esperienza in Afghanistan nel 1978, alle conquiste femministe degli anni Settanta, al backlash anti femminista del decennio successivo, fino all’attuale Abortion Ban texano, il percorso della parità di diritti e della giustizia sociale non è mai stato una linea retta, ma un percorso «accidentato, fatto di avanzate, blocchi, retromarce, intoppi e nuovi slanci. Ed è lento, e pieno di violenza. Ma dobbiamo agire più rapidamente, perché quando la crisi climatica colpirà più direttamente la nostra vita quotidiana, nuovo caos, e rabbia e violenza si abbatteranno ancora su donne, bambini, e popolazioni vulnerabili. Questi quattro fenomeni sono interconnessi: crisi climatica, condizione delle donne, giustizia economica, condizione delle popolazioni indigene».
Sarebbe bello se si trattenesse ancora un po’ a spiegarci perché. Ma la conferenza termina, e la risposta dobbiamo darla noi: è il capitalismo, bellezza.