Il presidente della Repubblica umiliato e il cancelliere arrabbiato. Sono i due risultati materiali dell’ultimo attacco diplomatico dell’Ucraina alla Germania, l’ennesimo dall’inizio dell’invasione di Putin, il più pesante nella storia delle relazioni bilaterali fra Kiev e Berlino.

Considerare, in buona sostanza, persona non grata Frank-Walter Steinmeier, capo dello Stato che rappresenta il primo finanziatore del governo di Volodymyr Zelensky, segna il punto più basso dell’alleanza fra i due Paesi.

Conta poco se il divieto di visitare Kiev per il Bundespräsident (da lui stesso rivelato) è solo pro-tempore e il portavoce di Zelensky, Oleksiy Arestovych, si è spolmonato sulla tv pubblica per far sapere che il premier ucraino «non aveva alcuna volontà di offendere».

LA REAZIONE DI OLAF SCHOLZ parla da sola: «Una vicenda irritante», tanto più se si sviluppa mentre la coalizione Semaforo è impegnata su due misure-chiave per il conflitto: l’invio di ulteriori armi, anche pesanti, all’esercito di Kiev e la nuova norma che consentirà all’esecutivo di controllare direttamente i fornitori di energia, fino all’eventuale nazionalizzazione.

«LA GERMANIA CONTINUERÀ a consegnare armamenti all’Ucraina ma in modo corretto e ragionevole e nell’ottica di impedirle di essere trascinata nella guerra» precisa il cancelliere nell’intervista alla radio Rbb. Con un doppio messaggio: per Kiev che insiste per avere 100 carri armati prodotti da Krauss-Maffei, e per i suoi due partner di governo, Verdi e liberali, assai più orientati della Spd ad accontentare le richieste di Zelensky.

Mentre Scholz, come rivela il disegno di legge anticipato ieri dalla Afp, resta concentrato sulla crisi del gas che minaccia di far crollare l’industria nazionale. Da un lato il ministro dell’Economia, Robert Habeck, programma i passi necessari per «liberarsi» dal gas russo entro la fine dell’estate; dall’altro Scholz anche ieri ha ripetuto il suo «nein» all’embargo totale. Piuttosto la Germania lavora per «garantirsi la sicurezza degli approvvigionamenti dopo che l’invasione russa dell’Ucraina ha accentuato le tensioni sul mercato dell’energia», si legge nella bozza predisposta dal ministero di Habeck. Tra le righe spunta anche «la possibilità di subentrare alle imprese operanti nelle infrastrutture critiche, fino ad arrivare all’esproprio». Scontato il riferimento alle filiali di Gazprom e Rosneft, prime candidate a finire nell’amministrazione controllata finalizzata a onorare i contratti vigenti.

IN TEORIA, PER PUTIN è un’arma perfino più micidiale del materiale bellico che la Germania fornisce agli ucraini, ma a Kiev non si fidano di Berlino, cioè della Spd di cui fanno parte sia Steinmeier che Scholz. Al primo Zelensky non perdona di non avere tagliato i ponti con il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, e di essere stato l’architetto del Nordstream-2 e degli accordi di Minsk. In particolare l’Ucraina contesta a Steinmeier di non avere vincolato lo statuto speciale delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk a libere elezioni.

Tutt’altro che un cavillo per Kiev che denuncia «la formula Steinmeier» come base per il «ricatto di Putin», come riassumono i diplomatici ucraini a Berlino agitando la carota dopo il bastone: «Siamo pronti ad accogliere Scholz, perché può prendere decisioni pratiche come l’invio di armi». Al contrario del presidente federale, con cui, però, per Zelensky sarà difficile tagliare i rapporti: Steinmeier incarna indubbiamente la vecchia Ostpolitik di Angela Merkel, ma il 13 febbraio è stato rieletto al secondo mandato. Con il massimo gradimento dei tedeschi.