Di Bahrein si parla quando corre la Formula Uno, meno quando si tratta di violazioni dei diritti umani e di condanne a morte per fucilazione. È un piccolo arcipelago di un milione e 400mila abitanti situato nel Golfo persico, di fronte all’Iran, collegato all’Arabia saudita con un’autostrada sul mare che per decenni è servita a farne la destinazione di turisti interessati alla prostituzione e al consumo di alcol.

Da qui, dalla cosiddetta causeway, erano transitati anche i carri armati sauditi nel 2011, quando Riyadh aveva deciso di soffocare nel sangue la primavera di piazza delle Perle, nel centro della capitale Manama, dove tante famiglie si erano riunite per protestare contro le discriminazione della dinastia sunnita degli al-Khalifa. Sono arabi, il 70% professa l’Islam nella sua declinazione sciita e per questo non possono partecipare ai concorsi pubblici per entrare nei ministeri e nelle forze armate dove troviamo invece mercenari sunniti provenienti da Yemen, Palestina, Pakistan. Di fronte alle porte chiuse della pubblica amministrazione e impossibilitati a intraprendere la carriera militare, gli sciiti del Bahrein diventano medici, ingegneri, avvocati, giornalisti. Studi perseguiti pure dalle donne, ma poi l’alto tasso di disoccupazione trasforma le laureate in casalinghe.

Nonostante il reddito di cittadinanza che garantisce un’entrata fissa equivalente a circa 600 euro al mese, erano stati in molti a protestare in piazza. In quell’occasione, gli al-Khalifa e i loro alleati sauditi avevano accusato l’Iran di interferenze. Le accuse erano plausibili, e non solo perché l’Iran si erge a difensore degli sciiti a ogni latitudine: nelle trattative con Londra del 1970 l’ultimo scià aveva permesso al Bahrein di diventare indipendente, ma questa decisione non è condivisa dalla leadership della Repubblica islamica e ogni tanto qualche politico reclama il Bahrein come provincia.

Le accuse mosse da Riyadh a Teheran erano comprensibili anche per un altro motivo: l’Arabia saudita teme che in un qualche paese arabo del Golfo a prendere il potere sia la minoranza sciita, che potrebbe così dare un pessimo esempio agli sciiti che vivono nella regione orientale di al Qatif dove si trovano le maggiori riserve di petrolio controllate da Riyadh. In ogni caso, da Teheran il leader supremo Ali Khamenei aveva dichiarato che se ayatollah e pasdaran avessero voluto mettere lo zampino in Bahrein, la situazione avrebbe preso una piega ben diversa.

Di fatto, questo arcipelago è uno stato di polizia: nel 2017 il partito d’opposizione al-Waqaf è stato messo fuori legge dal tribunale di Manama, e lo stesso vale per il suo organo di stampa, il quotidiano al-Wasat. Tutti i gruppi organizzati di matrice sciita sono stati chiusi, giornalisti stranieri e operatori delle ong come Amnesty International non possono atterrare a Manama. Tantissime le persone arrestate, molti attivisti politici di spicco tra cui la famiglia Al Khawaja e Nabeel Rajab. Per evitare le torture più pesanti, i giovani attivisti sciiti ricorrono alla cerimonia di fidanzamento: «Secondo la sharia, questo escamotage impedisce ai carcerieri di sottoporli alle sevizie ai genitali che potrebbero impedire loro di procreare», spiega la giornalista Adriana Fara, autrice del volume Dimentica. Never Mind (ranieri vivaldelli editore) in cui offre numerose testimonianze raccolte in Bahrein, dove ha vissuto a lungo, finendo in carcere per alcuni giorni con alcune tra le più note attiviste.

Come reagisce l’Occidente? Oltre alla Formula Uno, il Bahrein ospita la quinta flotta americana con diecimila uomini, ovvero la seconda in ordine di importanza dopo quella di stanza a Djibuti. Recentemente, a far base a Manama sono anche i militari britannici, che hanno costruito una nuova base a Porta al-Khalifa con 500 uomini. Con Sheikh Ahmad, il presidente statunitense Donald Trump ha firmato contratti per oltre 4 miliardi di dollari e rimosso i limiti per la vendita degli F-16, a suo tempo imposti da Obama dopo la repressione di regime. Ottimi motivi, questi, per far scendere il silenzio sulla repressione in atto e le tante condanne a morte per fucilazione e all’ergastolo.

Con Washington, non tutto fila però liscio: l’aumento dell’amministrazione Trump dei dazi doganali del 10% sull’alluminio mette in difficoltà l’economia del Bahrein, già in bilico per l’alto debito pubblico, anche perché gli Usa rappresentano il mercato principale. Resta da vedere dove saranno convogliati i profitti della scoperta di nuovi giacimenti di petrolio e gas: 80 milioni di barili, a cui si aggiungono 20 trilioni di metri cubi di gas naturale. Se anche i costi di estrazione non sono certi, resta da vedere se i proventi andranno a diversificare l’economia e quindi a espandere il settore privato di cui sarebbero protagonisti proprio i mercanti sciiti.