Attilio Fontana, leghista di Varese, è candidato alla carica di governatore in Lombardia. Dato il degrado etico e politico in cui versa il paese, è il favorito alla vittoria. Il sentire a portata di mano la propria elezione, gli ha sciolto i freni inibitori. Poiché il contesto della competizione favorisce gli sfrontati che compiacciono le reazioni emotive di carattere urinario (tensione, scarica, sollievo), ha cavalcato la disinibizione ai fini di un ulteriore consenso.

L’ispirazione di questa gestione cinica della propria maniacalità/dismisura esistenziale, vincente sul piano dell’interesse egoistico, viene da Trump e dal contributo pionieristico di Berlusconi.

Camminando su un terreno sperimentato -nel quale Salvini, suo capo, l’ha preceduto- Fontana, la cui mancanza di intelligenza del vivere non fa di lui uno sprovveduto, ha richiamato tutti al dovere di difendere la «nostra etnia, la nostra società, la nostra razza bianca» dal pericolo di essere cancellata.

Galvanizzato dal suo stesso ardire, ha dichiarato compiaciuto che si era guadagnato fama e consensi. Il suo obiettivo, l’espulsione di cento mila clandestini che vivono in Lombardia, è, fortunatamente, irrealizzabile, ma, sfortunatamente, persuasivo per i suoi elettori. Essi si appagano nel presente con l’affermazione di un odio espulsivo, in attesa di un futuro di purificazione dal sangue impuro.

Con l’occasione è ripartita la denuncia dell’infondatezza scientifica del razzismo, uno strumento insufficiente per combatterlo. La divisione tassonomica degli esseri umani in razze era fondata sulla differenza dei caratteri somatici che si dimostrò, grazie alla ricerca genetica, superficiale. Tuttavia il discorso del razzismo non necessita di divisioni reali nella materia umana vivente. Usa le differenze morfologiche e delle condizioni di vita per rendere estraneo, insignificante ciò che non è familiare. Le lega alle «razze» per renderle monolitiche e affermare la superiorità dell’una sull’altra (le altre).

Nel suo nucleo centrale, mortifero, il razzismo fa a meno anche delle differenze formali: impone l’inferiorità costitutiva di un gruppo di esseri umani rispetto a un altro dominante (tra i nazisti e gli ebrei le differenze somatiche e sociali erano inesistenti). La discriminazione razzista è funzionale allo sfruttamento dell’altro che, perduto lo statuto dell’essere umano vero e proprio, può essere usato come pura protesi del bisogno dello sfruttatore che lo tratta secondo il capriccio dettato dalle sue tensioni interne.

Il discorso violento, impersonale di cui Fontana si è fatto portavoce, poggia necessariamente su false credenze, del tutto interscambiabili e prive in sé di significato, il cui fondamento ultimo sta nella volontà di un’indefinibile entità suprema. La corrente razzista sotterranea che si agitava sotto un pudore di superficie, esce ora liberamente come fontana impetuosa che avvelena con la sua tossicità il vivere comune.

Per respingere l’accusa (debole) di avere usato un concetto privo di valore scientifico, il leghista esemplare si è richiamato alla Costituzione, nel cui testo appare il termine «razza». Essendo l’investimento del termine ideologico/psicologico, del tutto indipendente da ciò che dice la scienza, la sua menzione nel testo costituzionale non è fuori luogo. La Costituzione parla di distinzione di razza come sinonimo di discriminazione, per proibirla. Fontana la discriminazione l’ha rivendicata con forza, violando il precetto costituzionale.

La nostre timide istituzioni democratiche non lo dichiarano ineleggibile. Tocca alla società civile unirsi in un voto antirazzista per proteggerle.