«Sto preparando un volume intitolato Lezioni dall’obitorio (…) Il titolo nasce dal luogo senza dubbio tetro, ma adatto a pensare, dove ho tenuto le mie lezioni». Così Alfonso di Nola annunciava, in un’intervista ad Antonio Debenedetti sul Corriere della Sera del 7 marzo 1988, il suo prossimo lavoro. Il libro non uscì mai, ma oggi – in occasione dei vent’anni dalla sua scomparsa – due dei suoi allievi e amici, Ireneo Bellotta e Giovanni Pizza, studiosi del patrimonio demo-etno-antropologico entrambi e ordinario di antropologia a Perugia il secondo, pubblicano una raccolta di articoli che riprendono gli argomenti tenuti in quel pioneristico corso (Rivista Abruzzese edizioni, euro 18).

DURANTE IL PERIODO di insegnamento di storia delle religioni all’Orientale di Napoli, di Nola ebbe anche l’incarico di «Psichiatria transculturale» al 1° Policlinico di Napoli. Qui le lezioni, frequentate non solo da medici ma anche da futuri storici delle religioni o antropologi, allargavano gli orizzonti del programma universitario degli specializzandi a sistemi comparativi che spaziavano dalla biomedicina alla storia delle religioni, dalla psicoanalisi all’antropologia delle società meridionali contemporanee.

L’OBIETTIVO era quello di indirizzare i giovani medici verso una psichiatria che considerasse anche le patologie interne e funzionali al patrimonio culturale subalterno italiano: dall’isteria al tarantismo pugliese, dal Ballo di san Vito allo sciamanesimo. In una lettura critica dell’etnopsichiatria codificata da Georges Devereux, le sue lezioni mettevano in luce le diverse possibilità che il concetto di «follia» poteva assumere in differenti contesti: come già ebbe a scrivere Lévi-Strauss nell’Introduzione alla Teoria generale della magia di Mauss, «ogni società possiede le sue forme preferite di disturbi mentali».
Nei suoi incontri settimanali, più che nozioni, scuole di pensiero e comparativismi, Alfonso di Nola insegnava tecniche e competenze, trasmetteva pensiero critico, l’unico che, alla lunga, risultava utile a chiunque volesse realmente comprendere il mondo ed «esserci».

NELLE LEZIONI, e ora in questo volume, spiega con una lucidità e una chiarezza ineguagliate le differenze tra le varie forme psicopatologiche «classiche», mettendole in relazione con il «negativo della storia», con quei fenomeni culturali subalterni che sembravano, all’epoca, quasi non avere interesse storico o antropologico – una philosophia minor – e che scienze umane e dibattito politico e culturale tendevano a nascondere sotto il tappeto del progresso o a liquidare come «irrazionalismi». Eppure è proprio in questo «negativo» e in queste patologie che si annidava mascherata tanta parte della storia reale degli ultimi e dei subalterni.
Alfonso di Nola invita, nelle sue Lezioni, a considerare le patologie della mente in una visione neoumanistica che presti attenzione non solo ai sintomi o ai fatti accaduti, ma anche a quelli pensati e ai loro significati, in un percorso di «lunga durata» mutuato dalla scuola francese de Les Annales.

COME SI POTRÀ VEDERE negli articoli che compongono il volume, di Nola ha aperto una strada che potremmo definire «interna» alle figure della sofferenza sociale ed esistenziale, una strada che aveva come punti di riferimento non solo il lontano sciamanesimo eurasiatico, ma anche patologie popolari come la paura, il Ballo di san Vito, l’epilessia.

LA STESSA ANALISI del «morbo sacro» diviene (anche) una vera e propria lectio sull’utilizzo pratico in storia delle religioni del concetto storiografico della longue durée. Altrove, invece, nel volume si parla spesso di sciamanesimo, descrivendolo secondo gli studi più aggiornati dell’epoca, ma soprattutto facendo una intelligente critica di quel riduzionismo che vedeva in questo fatto storico-religioso una patologia, definita vanamente e variamente nordica, arctica o septentrionalis dalla psichiatria ufficiale.

Quell’aula, quelle Lezioni dall’obitorio furono, e ora sono in volume, un luogo adatto anche metaforicamente a pensare al corpo non come un immobile e freddo cadavere del quale basti sezionarne le parti per comprenderne le funzioni, ma come un organismo le cui infinite capacità continuano ad avere significati ben più ampi e profondi.