Niki de Saint Phalle accoglie i visitatori al Grand Palais con la carabina puntata: è la fotografia di una performance dei Tiri, iniziati nel ’61, dove l’artista, discendente di una famiglia aristocratica francese, mannequin per Vogue e Harper’s Bazaar, spara contro un’opera per colpire una visione tradizionale dell’arte, un’idea di religione, la società patriarcale, la situazione politica, le ingiustizie. Il colore cola sotto le pallottole, ma il gesto è controllato, come in un dripping di Pollock, la violenza si trasmette attraverso il gioco.

La dialettica tra violenza e aspetto gioioso è anche la caratteristica delle opere più famose di questa artista franco-americana, nota soprattutto per le Nana, a cui a dodici anni dalla morte il Grand Palais dedica la prima grande esposizione in Francia (fino al 2 febbraio 2015), con un percorso cronologico e tematico attraverso centosettantacinque opere. Una mostra che rappresenta una scoperta di molti aspetti della produzione di quella che la curatrice, Camille Morineau, definisce senza incertezze «la prima grande artista femminista del XX secolo».
Niki de Saint Phalle è stata un’autodidatta. Cominciò a dipingere all’inizio degli anni ’50, tra Parigi e New York (dove visse per un certo periodo con il primo marito, lo scrittore Harry Mathews, che abbandonerà per l’artista Jean Tinguely, lasciandogli anche la cura dei figli), sempre a contatto con le avanguardie delle due sponde dell’Atlantico. Fu proprio vedendo uno dei Tiri che il critico Pierre Restany propose a Niki de Saint Phalle di far parte del Nouveau Réalisme, unica donna del gruppo.

Anche il quadro tradizionale, benché preso a fucilate e costruito con rilievi, risultava angusto per le ribellioni di Niki de Saint Phalle. La donna diventò ben presto il soggetto prediletto: sono i grandi personaggi dei corpi femminili, le Mariées (Spose) sculture di assemblage costruite con un’accumulazione di oggetti simbolici e colorate di bianco su pizzi rappresi, i Parti con dei bambolotti che vengono alla vita, le Dee, le Prostitute, le Streghe. Giocattoli di plastica, ragni che spuntano, ma anche armi come simbolo del potere maschile, oggetti vari, quotidiani e onirici, compongono questi corpi giganteschi che, venati di ironia, donano potere alla donna. «Avevo deciso di diventare un’eroina – ha raccontato in una delle numerose interviste, alcune delle quali sono ritrasmesse nel percorso della mostra – Chi sarei stata? George Sand? Giovanna d’Arco? Napoleone in gonna?». L’importante è far sapere a Mummy, la madre che compare nel terribile film Daddy (che evoca tardivamente il doloroso incesto subìto nell’infanzia): «Madre mia, non vi assomiglierò. Avete accettato ciò che vi era stato trasmesso dai vostri genitori: la religione, i ruoli maschile e femminile, le idee sulla società e la sicurezza». Invece «io passerò la vita a farmi domande, mi innamorerò del punto interrogativo».

Le Nana colorate, gioiose e potenti sono l’espressione di un femminismo sorridente, individualista (l’artista non militerà nei movimenti): «Voglio essere superiore: avere i privilegi degli uomini e in più conservare quelli della femminilità, continuando a portare dei bei cappelli». Le Nana si ingigantiranno fino a diventare delle Nanacase, come la monumentale e provocatoria Hon, costruita per il museo di Stoccolma, dove si può entrare dalla vagina (di cui restano la maquette, alcuni disegni e immagini). «Le mie sculture rappresentano il mondo della donna amplificata, la follia di grandezza delle donne…». Ma nulla è certo per Niki de Saint Phalle: dopo le allegre Nana (un insieme è, per esempio, un omaggio alla Danza di Matisse), arrivano le Madri divoratrici, grottesche, terrorizzanti, castranti, l’altra faccia del potere.

L’opera di Niki de Saint Phalle è anche direttamente politica, impegnata. Il Nana Power evoca il Black Power (alcune Nana sono nere). In King Kong, un’opera del ’63, gli uomini politici del momento, da De Gaulle a Kennedy o Khrutchev sono trasformati in bassorilievi su un campo di rovine, dove tutto è bombardato e il sole guarda dall’alto, facendo linguacce al lingua al mondo. In Global Warning ci sono già i temi ecologici. Un Altare dorato evoca i crimini dell’Oas in Algeria. Bush padre è per Niki de Saint Phalle l’«idiota megalomane» che compare in alcune opere con tutti i simboli, dai dollari al capello da cow boy.

Niki de Saint Phalle è stata fra le prime artiste ad affrontare il dramma dell’Aids (un cranio monumentale è esposto contemporaneamente al Centquatre-Paris). Come Warhol, sapeva maneggiare i media e desiderava realizzare un’arte popolare: in particolare, in Italia, lavorò per una ventina di anni alla costruzione dell’immaginifico Giardino dei tarocchi, vicino a Capalbio, un parco di 22 sculture monumentali, che si ispira allo stile del catalano Gaudi.