Nelle parole del regista, e in quelle con cui viene lanciato nelle nostre sale, in questo inizio di stagione estica, A Blast «racconta la disillusione e la radicalizzazione di una generazione». Aggiunge il regista di cui avevamo visto il precedente Homeland nella Settimana della Critica veneziana (2010): «Maria inizia la sua vita da adulta con le migliori intenzioni. Dieci anni dopo, da qualsiasi punto di vista lo si osservi, il suo mondo sta crollando. Non volendo più avere niente a che fare con una vita di attenzioni non corrisposte, una dignità persa e la mancanza di voglia di vivere, lei attacca».

 

 

Certo nei giorni, anzi nei mesi in cui la Grecia è stata protagonista con la sua ostinata passione di resistenza alla Troika e ai ricatti politici di governi e banche europei, la crisi sembra essere il riferimento principale per ogni film che arriva da lì, anche perché – o forse proprio per questo – negli anni della crisi il cinema greco ha prodotto una nuova e spiazzante, rispetto alla sua tradizione più nota, generazione di registi, e di film capaci di rendere conflitti e disagi pericolosi e radicali spunti di immaginario.

 
La crisi comunque attraversa questa storia familiare, è una crisi economica che travolge la famiglia protagonista ed è anche una crisi personale della protagonista, incarnata dall’attrice Angeliki Paopulia sul cui corpo inarrestabile si ritaglia il movimento narrativo del film. Maria, il suo personaggio, è una giovane donna che vive una vita implosa tra famiglia, marito marinaio spesso assente, i tre figli, una madre paraplegica, una sorella con problemi psichici che ha sposato un tizio di estrema destra con tendenze pedofile, un padre che non sa decidere e si fa travolgere, e alcuni segreti familiari sepolti nel tempo. Finché la crisi della piccola attività dei genitori viene allo scoperto, coi debiti accumulati nel tempo, il rischio di perdere tutto, e inizia la corsa di Maria, sempre più frenetica, per salvare le cose.

 

 

Ma cosa?L’amore col suo uomo che la tradisce? Il sesso che li unisce malgrado tutto? Una parvenza di legami familiari? O suoi figli dall’orrore a cui accondiscende la sorella pur di tenersi il marito accanto? E lei, Maria, è davvero migliore degli altri?

 
É un film disturbante A Blast, in cui il regista – tendenza piuttosto diffusa nel cinema greco – costruisce una specie di ritratto familiare, sgradevole, pieno di lati oscuri, nel quale spostando lo sguardo si può leggere dell’altro. La malattia del Paese con la necessità di un cambiamento profondo e radicale (il film è dello scorso anno, prima dell’arrivo di Tsipras), ma anche la perdita di una dimensione collettiva, di una comune solidarietà. L’accelerazione dei gesti di Maria, tesa, nervosa, incapace ormai di tenerezza anche quando fa l’amore col suo uomo, somiglia a una corsa senza meta, in cui l’orizzonte di un altrove, o di un possibile riscatto, sembra definitivamente scomparso.

 
È dunque soprattutto il ritratto di una donna A Blast la cui realtà  è determinata da quanto la circonda, dalla necessità di un’azione che la mette con le spalle al muro. Un vicolo cieco a cui il regista la inchioda, e dove non c’è più spazio per la ribellione. Metafora di un sentimento condannato dalla precarietà, e insieme da una ricatto economico proprio come quello che ricatta ancora oggi il Paese. E il centro, il punto di osservazione, è il microcosmo familiare con le sue regole e i suoi tradimenti. Qualcosa di immutabile contro il quale rimane solo un gesto estremo.