Fritjof Capra è un fisico austriaco, oggi responsabile del Centro per l’Ecoalfabetizzazione di Berkeley, notissimo anche al pubblico più largo per il suo Il Tao della fisica (Adelphi), in cui condannava radicalmente l’approccio meccanicistico del metodo scientifico moderno, sviluppando un pensiero antiriduzionista, ispirato al pensiero sistemico e alle teorie della complessità. Questo Ecologia del diritto. Scienza, politica, beni comuni (Aboca, euro 18, traduzione dall’inglese di Ilaria Mattei) è il frutto del suo incontro con Ugo Mattei, giurista impegnatissimo sul fronte dei beni comuni, ben noto sia per il suo lavoro teorico che per la partecipazione a un gran numero di esperienze militanti.

I DUE STUDIOSI hanno obiettivi più ambiziosi che registrare lo stato dell’arte dei rapporti tra ecologia e diritto: la posta in gioco è, infatti, la critica radicale dei paradigmi fondativi che accomunano la scienza naturale e la scienza giuridica moderna. Bacone, Galileo e la fisica newtoniana distruggono l’interpretazione olistica del mondo. Alle differenze qualitative che orientavano il kosmos medioevale, sostituiscono l’omogeneità quantitativa di corpi che agiscono reciprocamente attraverso semplici rapporti di causa-effetto: un universo che diviene muto dal punto di vista etico, e sul quale, proprio per questo, il soggetto potrà infine, con Cartesio, imprimere il sigillo del suo ordine.

La metafora vincente, in questo passaggio alla modernità, sarà quella della macchina. La visione meccanicistica è il punto di congiunzione delle nuove scienze sperimentali con il mondo del diritto: anche la politica infatti si meccanicizza, passando dalla rete di comunità, organismi intermedi e connessi propri del medioevo, alla machina machinarum dello Stato moderno. Sovranità, con Hobbes, e proprietà, con Locke, saranno i due lati della «doppia morsa» all’interno della quale sarà stritolato l’ordine antico: attraverso il potere centralizzato sovrano e la proprietà assoluta, lo Stato potrà attaccare, con le enclosures, le recinzioni delle terre, il mondo dei beni comuni, e trasformarlo in capitale necessario all’accumulazione.

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LA POTENZA DELL’ASTRAZIONE, che caratterizza simultaneamente il metodo scientifico sperimentale e la nascente scienza giuridica, nasce così perfettamente funzionale all’estrazione capitalistica: la produzione di un ordine normativo unitario, fondato sul comando del sovrano, che fa piazza pulita degli ordinamenti plurali amministrati dalla saggezza pratica di giuristi ancora custodi degli usi, nasconde nel suo cuore la violenza dell’accumulazione originaria, per dirla nei termini in cui Marx racconta questa stessa storia. La crisi ecologica contemporanea pertanto, secondo gli autori, richiede una radicale fuoriuscita dal modello meccanicistico e cartesiano, per abbracciare uno stile di pensiero ecologico: uno sguardo che sostituisca alla forza moderna della separazione e dell’astrazione, la diversa potenza dell’interconnessione e della relazione, grazie a un paradigma sistemico che guarda al modello della rete, abbandonando finalmente quello della macchina.

Negli ultimi capitoli, questa impostazione offre preziosi materiali per sviluppare concreti esperimenti nel segno di una concezione generativa e non più astraente/estrattiva del diritto: da un diritto dell’impresa che ne imponga la responsabilità ecologica e ne impedisca lo sfruttamento senza vincoli delle esternalità ambientali, a una disciplina della responsabilità che elimini lo scudo del comportamento colpevole e imponga obblighi risarcitori, a una valorizzazione degli aspetti antiproprietari della gestione dei beni comuni.

Di particolare interesse, poi, l’insistenza sulla centralità del mondo della riproduzione sociale, del welfare e dei servizi: se davvero non si può oggi «astrarre» da qualcosa, è dalla centralità della riproduzione della vita, non più astrattamente separabile dalla produzione e occultabile negli ambiti del privato e del familiare.

È molto interessante, e questo testo giunge di grande aiuto, osservare come questo paradigma generativo-ecologico apra così uno spazio per tenere insieme lotte sui beni comuni, sulla riproduzione, sul welfare: la centralità antiproprietaria dei beni comuni, la critica ecologista a una visione lineare dello sviluppo, la rottura femminista dell’invisibilità dei processi riproduttivi ,possono insieme costruire una strategia politica per il «comune».

RESTA PERÒ APERTO il problema di come organizzare tutto questo in modo che tale ricchezza pluralistica, autopoietica e relazionale, che è indubbio merito dei paradigmi ispirati alla complessità sistemica riuscire a cogliere, non ceda ad una pura e semplice logica della frammentazione.

Le modalità di estrazione del capitalismo, nel capitalismo finanziario globale, hanno acquisito una grande capacità di cattura anche e soprattutto delle differenze, mettendo a valore direttamente le forme di vita: il neoliberalismo ha complicato alquanto la contrapposizione binaria tra olismo e comunitarismo da un lato, meccanicismo e individualismo dall’altro. e quindi costringe ancor di più chi si muove dentro le reti della cooperazione sociale ad affrontare il compito politico – ancora tutto aperto – dell’emersione ed organizzazione di un comune, oltre l’orizzonte semplicemente «comunitario», capace di potenziare e connettere esperienze e soggettività.