«La Flat tax al 15% proposta dalla Lega e dal programma del governo Conte? Una strada lastricata di incertezze, di sciocchezze e di illusioni. Se pensano di trovare le coperture con la cosiddetta pace fiscale si sbagliano di grosso. Le cifre messe in campo sono fuori dalla realtà, l’unico modo per finanziare quella proposta è il deficit». Tommaso Di Tanno, tributarista, docente di un master alla Bocconi, è assai severo con la “rivoluzione fiscale” del governo Salvini-Di Maio.

Nel tempo libero fa il maratoneta, è abituato ai percorsi lunghi e tortuosi ma è convinto che la strada della Flat Tax sia davvero impraticabile. Sostiene che l’applicazione della Flax Tax, così come è stata proposta, creerebbe un buco di circa 45 miliardi soltanto il primo anno. Per creare le coperture a questo buco, negli anni successivi il Pil dovrebbe crescere oltre il 10%. Un’assurdità.

Professor Di Tanno, proviamo ad addentrarci nei meandri, ancora oscuri, della Flat Tax. Che cosa non la convince?

Da settimane si parla di Flat tax e si discetta sui costi, oltre che sui benefici, che porterebbe. L’ordine di grandezza, pur nelle sue variegate versioni, perlopiù gira intorno alla cifra di 50 miliardi di euro. Se ne ipotizza la copertura, quantomeno in sede di prima applicazione, con i proventi della cosiddetta “Pace fiscale”. Ma in che cosa consiste e quale gettito è lecito attendersi da questa sanatoria? Si odono affettuose frasi di solidarietà verso coloro che non hanno pagato le imposte loro (giustamente o meno) richieste e si intrecciano, al tempo stesso, cifre mirabolanti circa gli effetti benefici della “Pace”. Ma le cose non stanno così. Partiamo da una premessa: la pace fiscale si applica su ciò che lo Stato vanta verso i contribuenti. E ciò nella considerazione che i crediti vantati da Equitalia-Riscossione ammontano a 1.058 miliardi (per imposte e contributi Inps), dei quali peraltro, quelli considerati suscettibili di riscossione (dai proponenti) varrebbero circa 650 miliardi.

Quindi ci sarebbe un ampio margine per la Flat tax.

Se questa cifra fosse attendibile. Ma la verità è che quei numeri sono fuori dalla realtà perché non tengono conto della mancata cancellazione dei crediti e di una serie di passaggi. Una cifra più realistica l’ha fornita l’Ocse che ha valutato il potenziale incasso dello Stato in 51 miliardi. Se si tiene conto della parziale rottamazione delle cartelle che già c’è stata si arriva alla cifra di 41 miliardi. Dunque, ove pure si applicasse l’aliquota massima del 25 per cento all’intera platea di debitori e questi aderissero all’unanimità alla “Pace” offerta (ipotesi statisticamente inesistente) si perverrebbe a contabilizzare un introito di 10,25 miliardi pagabile, peraltro, in due anni. Lei capisce che siamo ben lontani dal costo di 50 miliardi della Flat tax.

Mi sta dicendo che soltanto nel primo anno si creerebbe un buco di circa 45 miliardi?

Stando alle cifre avanzate dall’Ocse la mia risposta non può che essere affermativa. Tenga conto del fatto che 45 miliardi sono tre punti di Pil. Siamo fuori dalla realtà. Ecco perché considero assolutamente inattuabile la versione della Flat tax proposta dalla Lega.

Gli esperti in materia fiscale della Lega e del governo Conte sostengono tuttavia che se in Italia si applicasse la Flat tax, le imprese investirebbero di più e grazie a un moltiplicatore le coperture potrebbero venire da un incremento della crescita e dunque del Pil.

È un’assurdità fondata sulle aspettative che non ha fondamento. Basta fare due conti: 50 miliardi sono il 20% del Pil, ovvero 250 miliardi. Per recuperarli il Pil italiano dovrebbe aumentare del 13%. Neanche la Cina degli anni d’oro riusciva a realizzare quegli incrementi di crescita. I sostenitori della Flat tax sostengono poi che le aziende con un fisco più basso non andrebbero più a produrre all’estero. Anche questa è una sciocchezza a cielo aperto: molte aziende italiane, a me viene in mente la Piaggio, non vanno all’estero solo per ragioni fiscali ma anche e soprattutto per ridurre i costi del lavoro e trovare nuovi mercati. Ha ragione Carlo Cottarelli: l’unico modo per finanziare questa riforma fiscale sarebbe il deficit.