Giuseppe Conte, che nell’arte del promettere ma senza impegno diventa ogni giorno più magistrale, si decide a dire la sua sul nuovo incendio che divampa nel palazzo gialloverde a metà pomeriggio. La Flat Tax? «E’ un impegno preso con gli elettori ed è nel programma di governo. Sicuramente porteremo a termine anche questo impegno riformatore». Limpido solo in apparenza, perché sul come e sul quando il premier glissa: «Non ho sul tavolo un progetto riformatore. Ci stanno lavorando i ministri competenti».

IL PIÙ COMPETENTE tra i ministri, Giovanni Tria, è impegnato a smentire le cifre fatte trapelare dal suo stesso ministero: «Non c’è nessuna stima fatta dal Mef su una riforma che non abbiamo mai ricevuto, Varie possibili ipotesi sono allo studio da luglio». E quella cifra-monstre che indicava in 60 miliardi il costo della riforma e che aveva mandato in bestia Matteo Salvini? Solo una simulazione, fatta su cifre irreali, sussurrano le anonime fonti di via XX settembre, e mandata chiaramente in giro per giochi politici. Anche sorvolando sull’assurdità di una simulazione basata su cifre del tutto finte, tanto per ingannare il tempo, resta il fatto che quel «gioco politico» sarebbe comunque stato impostato al ministero, e le voci in circolazione additano senza mezzi termini la viceministra pentastellata Laura Castelli, tra le prime a sbarrare la strada alla principale riforma di bandiera della Lega: «Anche se fossero solo 15 miliardi sarebbero insostenibili». Seguita a breve dalla ministra per il Sud Barbara Lezzi, anche lei pentastellata: «E’ una cifra che il nostro Paese non si può permettere, dunque è una promessa che non si può mantenere». L’ira di Salvini, insomma, è giustificata.

I CONTI DEL LEADER leghista sono molto più modesti, ma pur sempre elevati: «Per la prima fase servono 12-15 miliardi. Non basterebbe per tutti ma per molti sì e sarebbe una rivoluzione epocale». Si tratta di cifre certamente più vicine alla realtà di quella fatta circolare dalla occulta mano del Ministero dell’Economia. Ma è pur sempre un’enormità nella situazione data, quella che vede alle porte una manovra già da brivido. Salvini, furibondo, ricorda ai soci che la «tassa piatta» era nel contratto. Luigi Di Maio a quel punto un po’ stempera, sulla stessa linea di Conte: «Il contratto si rispetta e troveremo una soluzione. Come M5S abbiamo delle proposte per abbassare le tasse e le condivideremo con la Lega. Questo è l’importante».
Non sono le parole che il leghista avrebbe voluto ascoltare. Conte e Di Maio sono intervenuti su diretta pressione del capo leghista ma lo hanno fatto sforzandosi di non bruciarsi nessun ponte alle spalle, restando sul vaghissimo e soprattutto lasciando intendere, in particolare il pentastellato, che la Flat Tax è solo una delle vie possibili per intervenire sulle tasse.

QUELLO CHE SI STA saldando è un fronte ostile al modello di riforma fiscale di Salvini, ma anche di Silvio Berlusconi, nel quale confluiscono spinte diverse. Per i 5 Stelle, che devono recuperare un’immagine autonoma e difendersi dall’accusa di aver fatto proprie istanze del super-nemico Silvio, varare una riforma che in tutto il mondo è marchio della destra economica e che è da sempre il cavallo di battaglia del nemico di Arcore è un problema enorme. Per il ministro Tria e probabilmente anche per Conte, impegnati a trattare con la Ue sulla base dello sblocca-cantieri, promettendo investimenti a breve e invocando mano più leggera per la prossima finanziaria, veder piovere sul tavolo delle trattativa altri 12 miliardi è una specie di incubo. Ma per la Lega, che ha onorato la sua parte del contratto accettando un «reddito di cittadinanza» inviso ai suoi principali referenti sociali, vedersi negare la riforma che quegli stessi referenti sociali attendono è del tutto impensabile.

NEI PROSSIMI GIORNI Armando Siri, sottosegretario leghista alle Infrastrutture e paladino numero uno della Flat Tax, incontrerà Tria per affrontare il tema, ma il braccio di ferro è ormai iniziato. Piove sul bagnato: anche su temi molto meno incandescenti, come lo sblocca cantieri e gli appalti, la competizione è massima, le due anime del governo, anche in assenza di reali motivi di frizione, neppure più comunicano. In questo quadro, dopo le elezioni, la Flat Tax ha tutte le carte in regola per innescare una deflagrazione totale.