La consapevolezza che la realtà non sia come ci appare rappresenta l’inizio stesso della filosofia e della scienza. Un inizio che non va posto contro il mito ma accanto a esso. Senza il mito sono impensabili Anassimandro, Parmenide, Platone, ed è quindi impensabile l’origine del pensiero scientifico. E invece in alcune pagine del più recente libro di Carlo Rovelli (La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose, Raffaello Cortina, pp. 241, euro 22) sembra di accostarsi a una storia della scienza di stampo un po’ ottocentesco, polemica e positivistica che, per fortuna, viene poi stemperata da molti dei suoi contenuti e dall’ammissione che «infinita è la nostra ignoranza» e ci troviamo tutti – filosofi, fisici, poeti – in una condizione non dissimile da quella dei prigionieri della caverna platonica.
La concezione del sapere scientifico difesa da Rovelli è cumulativa e tesa a risolvere in una progressiva e trionfante unificazione i conflitti che percorrono la storia della scienza. Una concezione che presenta in modo agiografico le vicende e il lavoro di alcuni scienziati, primo dei quali Einstein, il quale vi appare a volte come una sorta di sant’Alberto con tanto di aneddoti e «miracoli» scientifici: «Nei primi anni del secolo, questo è chiaro a tutte le persone sufficientemente ragionevoli, cioè solo a Albert Einstein». Si tace pure sul fatto che «il più grande uomo di scienza di tutti i secoli», Newton, si sentiva e fosse in realtà anche un mago.
Sono atteggiamenti e preferenze comunque comprensibili e che si giustificano di fronte al grande pregio di una chiarezza davvero esemplare nell’affrontare questioni assai complesse con uno stile sempre coinvolgente. Il cammino dall’apeiron di Anassimandro alla gravità quantistica a loop – teoria della quale Rovelli rappresenta il maggior esponente – è descritto come una progressiva semplificazione e unificazione dei princìpi. Il punto di svolta è rappresentato dal concetto di campo con il quale materia ed energia vengono unificati in un insieme di forze che non operano nello spazio e nel tempo ma sono lo spazio e il tempo.
La meccanica quantistica ha inglobato nel campo anche gli atomi e ogni possibile particella, per cui il mondo non sarebbe fatto di campi e di particelle ma di un’unica realtà che è il campo quantistico covariante, le cui caratteristiche fondamentali sono costituite dalla granularità, dall’indeterminismo e dalla relazionalità.
Granularità perché – come aveva intuito Democrito – non è vero che la materia sia divisibile all’infinito; esiste un limite alla divisibilità nello spazio, la cui lunghezza minima e non ulteriormente riducibile si chiama lunghezza di Planck. Tra questa scala enormemente piccola e la scala cosmologica – quella delle galassie, degli spazi sterminati, dell’Universo – «c’è dunque l’immensa distanza di 120 ordini di grandezza. Moltissimo. Ma finito».
Indeterminismo perché nel cosmo quantistico nulla è fermo e misurabile di per sé ma tutto è in moto e sempre fluttuante. Gli oggetti che percepiamo – dai sassi alle montagne, dai sorrisi di chi ci sta vicino alle onde del mare – sono in realtà un flusso continuo e continuamente variabile, una vibrazione senza fine, una costante e passabile incostanza.
Relazionalità perchéè chiaro che nella sua struttura granulare e indeterministica ogni cosa esiste soltanto in relazione a ciascun’altra, che un olismo radicale costituisce il mondo, che «è solo nelle relazioni che si disegnano i fatti della natura», che «gli elettroni non esistono sempre. Esistono solo quando interagiscono. Si materializzano in un luogo quando sbattono contro qualcosa d’altro. (…) Quando nessuno lo disturba, un elettrone non è in alcun luogo».
Si arriva così alla questione fondamentale, al problema del tempo. Uno dei capitoli si intitola Il tempo non esiste ma si tratta di una formula troppo netta e smentita dagli stessi contenuti del libro. Anche alla scala piccolissima nella quale si manifesta la gravità quantistica «lo spazio e il tempo cambiano natura. Diventano qualcosa d’altro», il che non vuol dire che non esistono ma che si mostrano ancora una volta nella loro natura enigmatica e affascinante di vibrazioni della materia, le quali non vibrano in un tempo e in uno spazio già costituti ma che nel loro vibrare sono lo spazio e il tempo: «Lo scorrere del tempo è interno al mondo, nasce nel mondo stesso, dalle relazioni fra eventi quantistici che sono il mondo e generano essi stessi il proprio tempo».
Rovelli si spinge sino ad affermare che «i campi quantistici covarianti rappresentano la migliore descrizione che abbiamo oggi dell’apeiron, la sostanza primordiale che forma il tutto, ipotizzata dal primo scienziato e primo filosofo, Anassimandro».
La conseguenza di tutto questo è che, lungi dal «non esistere», il tempo è l’esistere stesso di ogni ente, evento e processo, proprio nel senso quantistico che non ci sono oggetti irrelati tra di loro ma soltanto eventi legati gli uni agli altri in un modo indissolubile.
Il libro chiarisce bene come l’orizzonte delle ricerche contemporanee consista nel tentativo di coniugare la meccanica quantistica e la relatività con le teorie sull’informazione e quindi con la termodinamica, la quale è impensabile senza l’irreversibilità, senza il tempo: «Siamo esseri che vivono nel tempo: abitiamo il tempo, ci nutriamo di tempo. Siamo un effetto di questa temporalità, prodotta da valori medi di variabili microscopiche».
La fisica ci proietta oltre l’umano, al di là di ogni pretesa antropocentrica, lasciando comprendere – con il rigore della matematica unito alla potenza dell’immaginazione – che l’immensa ricchezza della materia passa (per noi) attraverso la parte di materia che è il cervello, poiché se «la realtà non è come ci appare» è anche perché è costruita dalla nostra mente, la quale è materia consapevole di esistere.