Se domenica qualcuno aveva ancora dubbi sugli autori del grave sabotaggio subito dalla centrale nucleare iraniana di Natanz, ieri Benyamin Netanyahu ha apposto la firma di Israele sull’accaduto. Per la rivendicazione indiretta dell’attentato, senza nominare mai l’Iran, il premier israeliano ha scelto la conferenza stampa a Gerusalemme con il Segretario americano alla difesa, Lloyd Austin. Un modo per dire che Washington, mentre tratta con l’Iran il rilancio dell’accordo sul nucleare del 2015 (Jcpoa), approva i blitz militari e di intelligence che Israele compie contro il programma atomico iraniano e i suoi scienziati. «Conosciamo entrambi gli orrori della guerra – ha detto Netanyahu rivolto ad Austin – ed entrambi conveniamo che l’Iran non dovrà mai possedere armi nucleari. La mia politica come primo ministro è chiara: Israele continuerà a difendersi dalle aggressioni e il terrorismo dell’Iran». Alla vigilia dell’arrivo di Austin, Netanyahu aveva riferito di uno sforzo eccezionale che Israele svolge da tempo per contenere l’Iran.

Parole che accreditano la teoria che vuole l’Amministrazione Biden incline a dare spazio di manovra a Israele in modo da affievolire l’irritazione di Tel Aviv per la ripresa dei negoziati sul nucleare iraniano. In quella direzione vanno le dichiarazioni fatte due giorni fa dal ministro della difesa Benny Gantz sugli Usa che, ha detto, sono «partner pieni (di Israele) in tutti i teatri operativi, Iran incluso». I due paesi, ha aggiunto, lavoreranno insieme «per far in modo che ogni nuovo accordo con Tehran prevenga la corsa agli armamenti nella regione». Ma i due alleati forse non procedono mano nella mano come Netanyahu e Gantz vogliono far credere. L’attacco contro Natanz è un attentato palese contro la trattativa che le parti firmatarie del Jcpoa, con gli Usa per ora nelle retrovie, hanno avviato per arrivare a una nuova intesa. Tehran non può rimanere in silenzio di fronte al sabotaggio di una sua centrale mentre discute con l’Occidente del proprio programma nucleare. Non sorprende l’intervento dell’Unione europea di fronte a tanta evidenza. «Rigettiamo qualsiasi tentativo di minare o indebolire gli sforzi diplomatici in corso…a Vienna si sta cercando di risolvere a livello diplomatico le questioni» in corso «con i paesi che fanno parte dell’accordo e anche tramite i nostri contatti con gli Usa», ha avvertito Peter Stano, portavoce di Josep Borrell, «ministro degli esteri» dell’Ue.

Non tutti in Israele condividono la linea che porta avanti Netanyahu della massima pressione – economica, diplomatica, politica e militare – sull’Iran condivisa per quattro anni con l’Amministrazione Trump. Finora quelle pressioni non hanno portato a nulla, anzi è stato l’opposto. A dirlo, e non per la prima volta, è stato l’ex capo dell’intelligence militare Amos Yadlin. Citato da Times of Israel, Yadlin s’interroga sull’entità del sabotaggio che potrebbe essere più «serio» nel caso abbia colpito anche i generatori di emergenza. In tal caso all’Iran servirebbero vari mesi per riprendersi. Tuttavia, sottolinea Yadlin, l’Iran ha le capacità necessarie per portare avanti il suo programma, indipendentemente dall’entità dei danni. E finora tutte le intimidazioni nei suoi confronti, comprese quelle di Trump, non l’hanno fermato.

A meno che Israele, o meglio Netanyahu, stia puntando proprio su una forte reazione di Tehran per andare al conflitto militare aperto e, quindi, alla distruzione di tutte le centrali iraniane. Secondo l’analista Ehud Yaari, di Canale 12 «si avvicina il momento» in cui l’Iran non avrà altra scelta che rispondere con un’azione militare. Rappresaglia che, pur desiderandola, l’Iran limiterà, prevede Meir Litvak esperto d’Iran dell’Università di Tel Aviv intervistato dall’Adnkronos. «Netanyahu – ha detto – sta cercando di rendere la vita più difficile agli americani…Dubito che l’Iran voglia mettere a rischio i negoziati…gli iraniani cercheranno di fare qualcosa nel prossimo futuro ma non sarà una grande operazione tale da costringere gli Stati uniti a ritirarsi dai colloqui».

Di sicuro proseguirà la «battaglia navale» a bassa intensità, in corso tra il Mar Rosso e il Golfo, che ha visto navi delle due parti danneggiate da mine e, pare, missili. L’ultima è la iraniana Saviz colpita mentre costeggiava la penisola arabica. Secondo la stampa internazionale, Israele avrebbe preso di mira e danneggiato negli ultimi anni decine di navi mercantili iraniane nel Mediterraneo, in particolare le petroliere dirette ai porti siriani.