Il forte incremento dei visitatori al Bauhaus-Archiv / Museum für Gestaltung di Berlino – oltre centoventimila nel 2014 – ha spinto le autorità del governo federale e quelle municipali a bandire un concorso per l’ampliamento dello storico edificio costruito tra il 1976 e il 1979 nel quartiere di Tiergarten, sul bordo del Landwehrkanal, e realizzato dagli architetti Alex Cvijanovic e Hans Bandel, adeguando una soluzione che Walter Gropius aveva concepito nel 1964 per un sito nel parco Rosenhöhe di Darmstadt, dove l’archivio fu fondato nel 1960.

Il nuovo complesso museale, progettato dall’architetto berlinese Volker Staab, vincitore del concorso nel 2015, prevede per l’edificio esistente la destinazione ad archivio, mentre l’ampliamento per una superficie lorda di circa 6700 mq, verrà utilizzato per le attività espositive del Museum für Gestaltung. Il progetto, che si prevede possa essere terminato nel 2022, si qualifica per una torre di vetro «delicata, quasi fragile», come recita la valutazione della giuria, alta cinque piani irregolari, collocata al centro di un blocco di un piano lungo la Von-der-Heydt-Strasse, in posizione discreta, poco lontana dall’edificio esistente. «Non è un cubo bianco», ha dichiarato Staab, viceversa con le sue colonne sottili e inclinate in facciata, intende rendere omaggio al carattere sperimentale del Bauhaus. L’insieme dei nuovi volumi non ha nulla di appariscente – le aree per le mostre si sviluppano parte nel piano interrato – ma questi intendono integrarsi con l’architettura preesistente affidando alla nuova torre d’ingresso un’equilibrata valenza iconica all’intero sito.

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Se Staab ha scelto l’idea della promenade architecturale per bene congegnare i suoi spazi in un dialogo serrato con il contesto, poco distante gli svizzeri Herzog & de Meuron hanno preferito insistere sulla creazione di una «forma forte» per il loro Museum der Moderne collocato all’interno del Kulturforum berlinese, accanto alla Neue Nationalgalerie di Ludwig Mies van der Rohe (in corso di restauro), la Berlin Philharmonie di Hans Scharoun, la chiesa di San Matteo e la Staatsbibliothek zu Berlin. Il museo degli architetti svizzeri si configura come un compatto volume coperto da un tetto a due falde, soprannominato dai sarcastici berlinesi «il Fienile».
Esito del concorso del 2016 con lo scopo di aumentare lo spazio espositivo della Neue Nationalgalerie, lo scorso anno il progetto è stato rivisto con l’aggiunta di altri quattro piani e una migliore definizione del suo rapporto con la St. Matthäuskirche, di fatto non risolto con la dichiarata intenzione dei due progettisti di densificare l’area a loro disposizione. È forse stato questo uno dei motivi della lievitazione dei costi che a oggi si stima superino i 450 milioni di euro dai 200 milioni previsti all’inizio, riproducendo casualmente ciò che già gli accadde ad Amburgo con la Elbphilharmonie costata alla fine circa 800 milioni di euro.
Nulla a confronto con i circa 600 milioni di euro spesi per l’«Huboldt Forum», l’anacronistica ricostruzione del «Palazzo di Berlino» di Franco Stella che dovrà ospitare le raccolte etnologiche provenienti dalla brutale conquista coloniale tedesca iniziata alla fine del XIX secolo, e che saranno visitabili forse nel 2020.

Si può discutere, ma all’enorme quantità di risorse economiche investite a Berlino in nuovi musei per renderla competitiva turisticamente non corrisponde un’altrettanta qualità delle architetture scelte per rendere raccolte e collezioni meglio fruibili, ma dentro contenitori dalla discutibile relazione con la città. Se la ricostruzione del prussiano «Palast der Republik» in sostituzione della sede modernista del parlamento della Rdt dimostra quanto una parte dei tedeschi soffrano di una «incapacità di piangere il passato», come ha dichiarato al Guardian lo storico Gavriel Rosenfeld, l’algida modernità offerta all’Isola dei Musei da David Chipperfield sotto forma di un «tempio bianco» composto da sottili colonne, testimonia quanto sia difficile il confronto con la storia e fuorviante affidarsi al «principio della semplicità» senza estetizzare gli edifici e, ancora più grave, i monumenti.