Nella politica italiana il condizionale è sempre stato d’obbligo: figurarsi al termine di una legislatura che ha cancellato ogni parvenza d’ordine. Le camere dovrebbero essere sciolte tra Natale e capodanno. Però non è detto. Il governo e una parte del Pd, in particolare il gruppo del Senato, ancora sperano di portare a casa lo Ius soli, obiettivo che lascia invece gelido Renzi, il quale tuttavia ci terrebbe a incamerare il biotestamento. Se anche uno solo dei due provvedimenti arrivasse in aula lo scioglimento verrebbe posticipato sino a gennaio.

Non dipende dal Pd ma da Ap. Senza il passi dei centristi non se ne fa niente: un po’ perché Sergio Mattarella ha ammonito tutti avvertendo che lui vuole un finale di partita modello pubblicità del Mulino Bianco, senza sfiducie in extremis, e un po’ anzi molto, perché se Alfano e Lupi s’imbizzarriscono e minacciano di non coalizzarsi il partitone è pronto a genuflettersi. Che questioni come la cittadinanza di 800mila ragazzi nati in Italia e il biotestamento siano nelle mani di un manipolo che veleggia intorno al 2% dice tutto sullo stato delle cose nella democrazia di Renzi e Gentiloni.
Ma tant’è. Forti del loro potere di ricatto i centristi alzano la voce. Ieri su, proposta di Alfano, la direzione ha di Ap dato mandato al capogruppo Maurizio Lupi di «verificare in una settimana la possibilità» della coalizione con il Pd. In caso contrario i centristi promettono di correre da soli. Nessuna apertura a destra, invece, anche perché, ammette Lupi, «Berlusconi non ci vuole». Che un partito minuscolo, privo di sponde a destra e neppure in grado di garantire il proprio esiguo pacchetto di voti, come si è visto in Sicilia, possa ricattare il Pd è il capolavoro politico di Renzi.

Di fatto però quel potere di ricatto c’è e Lupi lo fa pesare: «Non faremo passi indietro sui nostri temi: no allo Ius soli, no al biotestamento». Capitolo chiuso? Macchè. Governo e Pd vagheggiano infatti una sorta di trattativa a colpi di bonus bebè nella legge di bilancio in cambio almeno del biotestamento, che in fondo lo vuole pure il papa. Ma se il semaforo di Alfano resterà rosso la legislatura non festeggerà il capodanno.
Quella quindicina di giorni di vita delle camere in più o in meno vogliono dire parecchio. Far slittare le elezioni, anche di poco, rende infatti poco praticabile la trovata sulla quale puntano in molti e che lo stesso Colle considera con massima serietà: una specie di seconda tornata elettorale in giugno se la prima andrà a vuoto, cioè se dalle elezioni, che dovrebbero essere comunque in marzo, non uscirà nessuna maggioranza. Sarebbe comunque un’idea azzardata, ma dati i caratteri della politica italiana non c’è da stupirsi se, ancora prima che le camere siano sciolte, già si ragiona sulla possibilità di scavallare giugno e arrivare alle possibili «seconde elezioni» dopo un altro anno di governo Gentiloni.