Per Erdogan, che tiene in carcere 150 tra giornalisti e scrittori tra cui Ahmet Altan, condannato all’ergastolo, l’omicidio di Jamal Khashoggi ieri è stata una buona opportunità per mettersi il doppiopetto della rispettabilità, fare qualche favore agli Usa, mostrarsi fermo ma non del tutto maligno con i Saud e riproporsi come un leader del mondo musulmano sunnita nonostante le sconfitte in Siria e dei Fratelli Musulmani, detestati a Riad.

Erdogan vuole mettere sotto processo gli agenti sauditi in Turchia: l’arma del ricatto ai Saud si fa ancora più affilata. Il caso Khashoggi questo è diventato: un intricato ricatto internazionale.

Chi la credibilità l’ha persa sono i Saud ma di riflesso è stata pesantemente intaccata anche quella di Washington e Israele: con che faccia si potrà definire «moderato» il regime di Riad e proporlo sulla scena come il perno, insieme allo stato ebraico, di un piano di pace per il Medio Oriente?

Era questo il progetto dell’ineffabile Jared Kushner, genero di Trump di origine ebraica, inviato speciale nella regione e grande amico del principe ereditario Mohammed bin Salman. Un piano che è stato sepolto probabilmente con il cadavere di Khashoggi.
Con questo assassinio, che Erdogan ha definito «selvaggio e premeditato», il ramo dei Saud oggi al potere invia un messaggio brutale ma chiaro: «Come vedete siamo disposti a tutto».

Fine dell’Arabia Saudita come leader del fronte Paesi arabi «moderati» su cui si sono cullate generazioni di diplomatici occidentali che poi andavano a battere cassa a Riad a colpi di commesse e investimenti. In realtà il fronte arabo «moderato» era quello che di fatto approvava l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, che finanziava i jihadisti anti-sciiti, che voleva l’eliminazione dell’Iran e di Assad. Che pagava i terroristi per tenerli lontani da casa sua e pagava di conseguenza gli occidentali per non lamentarsi di questo stato delle cose.

Adesso che ha perso la guerra per procura in Siria e non riesce a vincere in Yemen, l’Arabia Saudita e il «fronte dei moderati» di cui fanno parte gli Emirati – una sorta di Sparta del Golfo con 1,5 milioni di abitanti e un bilancio alla difesa pari a quello italiano – hanno gettato la maschera: pur di sopravvivere sono disposti a far saltare il sistema.

Il fragoroso silenzio dei Paesi arabi su Khashoggi è sintomatico. Anzi, il sistema è sotto ricatto: e il primo a cedere è proprio il presidente americano Donald Trump il quale ha annunciato che in ogni caso non verranno messe in discussione 110 miliardi di commesse militari con i sauditi. Non solo. Lo stesso boicottaggio della «Davos del deserto» gli americani l’hanno fatta a metà: il segretario al Tesoro Steven Mnuchin non ha partecipato ma ha avuto alla vigilia del discorso di Erdogan un lungo faccia a faccia con il principe Bin Salman.

Gli affari sono affari, e tanti: oltre alle commesse saudite per la Difesa, quasi un quinto del bilancio militare Usa, ci sono in ballo gli investimenti del Public Investment Fund saudita che vuole portare le sue partecipazioni in joint venture e società occidentali a 600 miliardi di dollari da qui al 2020.
Si capisce bene che il fondo saudita, in pugno al principe ereditario, più che attuare le riforme del Regno è destinato a rimpinguare le casse di dozzine di imprese occidentali. Volete buttarli via?

Anche nella City londinese sono preoccupati. Un bisnipote di Freud _ -Matthew Freud – Tony Blair e un nugolo di società di Pr con sede a Londra, sono tra i consiglieri del principe Bin Salman.

Per i Saud e i loro consiglieri è venuto il momento di stendersi sul lettino dello psicanalista per affrontare le menzogne patologiche con cui hanno riempito in questi due anni i media occidentali vendendo la favoletta del principe riformista. Ma con i 600 miliardi di dollari dei sauditi si possono cancellare i sensi di colpa.

Eppure, come bersi ancora l’amaro calice saudita?

A pochi giorni, tra l’altro, dall’entrata in vigore delle dure sanzioni economiche e finanziarie Usa contro l’Iran. Persino il Wall Street Journal, il giornale del business, si domanda se non sia il caso di trovare un sostituto di Mohammed bin Salam.

Allora forza, bisogna scovare un nuovo Principe Azzurro saudita che renda se non credibile almeno accettabile la presenza invasiva dei sauditi nei gangli politici e finanziari dell’Occidente. È la nostra ipocrisia e i loro soldi che tengono in piedi il trono delle due spade, non la religione.