Il motivo dell’apocalisse è sconosciuto: non sappiamo cosa o chi si sia abbattuto sulla terra, ma solo le sue conseguenze dal punto di vista ristretto dei protagonisti, che non hanno accesso alla «stanza dei bottoni» nella quale il governo Usa sta presumibilmente cercando di far fronte alla catastrofe. Saltano le comunicazioni, tutti i voli vengono interrotti, le autostrade chiuse, i caccia dell’esercito si alzano in volo: ma diretti dove? Il punto di partenza della Fine (How it Ends) di David M. Rosenthal – da poco disponibile su Netflix – è dunque un escamotage ben noto, su cui il regista cerca di dare la propria lettura originale a partire da una sceneggiatura di Brooks McLaren che figurava dal 2010 nell’ambita Black List hollywoodiana.

I protagonisti sono l’avvocato Will (Theo James) e il padre della sua fidanzata Samantha, il severo generale in pensione Tom (Forest Whitaker), che non ha mai visto di buon occhio il futuro suocero e non ne fa mistero quando Will viaggia fino a Chicago, da Seattle, per chiedergli la mano della figlia. Ma quando l’apocalisse si abbatte sulla terra i due sono costretti a un lungo viaggio in macchina coast to coast proprio per andare a salvare Samantha.

La trama gira così intorno a una semplice suggestione: con che rapidità l’uomo torna allo stato di natura in una situazione di emergenza e in assenza dello Stato? Non molto, sembra dirci La fine, che basa tutta la sua tensione sull’isteria di massa causata dalla deviazione dalla normalità – ma senza guizzi né inventiva, prolungando per l’intera durata del film quello che Spielberg – nella scena dell’assalto alla macchina dei protagonisti nella Guerra dei mondi – aveva risolto in una sola memorabile sequenza.