La legge di stabilità per il momento continua a scontentare tutti, tranne – come è ovvio e prevedibile – il governo, che tenta di difenderla in tutti i modi dagli attacchi che arrivano non solo da sindacati, imprenditori e consumatori, ma dalla sua stessa maggioranza. Con pezzi che rischiano di staccarsi, come il viceministro all’Economia Stefano Fassina che ha minacciato le dimissioni (e che ieri nel Pd ha ottenuto un assist da Gianni Cuperlo), con pezzi di partito che in qualche modo agitano sempre lo spettro della crisi (come i lealisti berlusconiani, delusi dalle nuove tasse sulla casa). Con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ieri – anche questa, una mossa «prevedibile», vista la fisionomia che ha adottato negli ultimi mesi – ha difeso la manovra e ha chiesto a tutti pazienza, perché si vada avanti.

Intervenendo con un video messaggio a un convegno dei giovani di Confindustria, a Napoli, il presidente ha detto che «è necessario spostare l’accento sulla crescita, ma non pensando che non esista più il problema dei conti pubblici». Come dire, che si è fatto quel che si poteva, che la legge di stabilità è un inizio che va nella giusta direzione, ma non si può troppo tirare la corda, perché «l’Italia – parole sue – non deve ricadere in una procedura di deficit». Quindi, a chi critica la manovra, Napolitano replica a modo suo (cioè senza essere troppo esplicito e diretto, ma facendosi comprendere nella sostanza): «L’atteggiamento critico – avverte il presidente della Repubblica – sia sostenibilmente propositivo e consapevole di vincoli e condizionamenti oggettivi che non si possono aggirare», altrimenti «non sarebbe una prova di coraggio ma una prova di incoscienza». Come dire: critici sì, ma non sforiamo però nella distruttività.

Ieri tra l’altro, proprio al convegno dei confindustriali, si erano ripetute le critiche del mondo imprenditoriale alla finanziaria, e in particolare al taglio del cuneo fiscale, ritenuto di entità insufficiente: «Sono contento del successo che il nostro Paese ha avuto negli Stati Uniti – ha detto il presidente dei giovani di Confindustria, Jacopo Morelli – ma proprio per questo chiedo ufficialmente di rivedere i punti della legge di stabilità sul taglio delle tasse sui redditi da lavoro e impresa: così non va bene, dobbiamo trovare altre soluzioni».

La pressione fiscale in Italia, calcolano i giovani imprenditori, «è ormai al 68,7%, contro il 46,8% della Germania, e le tasse si portano via oltre la metà di uno stipendio lordo». E ancora: «Le tasse dovevano calare non di uno 0,7% in tre anni, ma di diversi punti e strutturalmente. Ci aspettavamo una legge di stabilità coraggiosa e di rottura, che segnasse la fine del rigore depressivo e l’avvio di investimenti per la crescita». Per chiudere con una frase netta: «Se il governo annuncia come un trionfo quello di essere riuscito a sventare l’aumento delle tasse, significa che è sordo alla voce del Paese reale».

D’altronde anche il senior dei confindustriali, Giorgio Squinzi, ieri è tornato sul tema, con una nota congiunta con i presidenti di Rete Imprese, Alleanza delle cooperative, Ania e Abi: chiedono una «riduzione più incisiva del cuneo fiscale e costo del lavoro» e insieme lamentano l’assenza di una «rapida e decisa azione di tagli alla spesa pubblica».

Si muovono, d’altronde, anche i sindacati: domani si terrà un vertice di Cgil, Cisl e Uil con i segretari generali Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. Ieri Bonanni frenava rispetto a due giorni fa, quando aveva posto lo sciopero tra le possibilità in campo: «È ancora presto per parlarne», ha spiegato. Ma gli altri due sindacati sono invece più pronti (fatto salvo il tema, non da poco, di organizzare una mobilitazione che riesca, e insieme di dover chiedere ai lavoratori un sacrificio economico non da poco in tempi di crisi). Camusso ieri è stata piuttosto caustica: «È una manovra da governicchio che non sceglie», ha detto la leader Cgil.

Insomma, i mille scudi di Letta, dei lealisti del Pdl, dello stesso Pd (o di una sua parte) e di Napolitano per ora non portano pace. A rafforzare le critiche ieri sono arrivati due studi: uno della Uil, secondo cui la modifica (in peggio) delle detrazioni annullerebbe parte dei benefici provenienti dal taglio del cuneo: si perderebbero 32,20 euro annui, quindi più di due mesi di cuneo (se si calcolano circa 14 euro al mese). Secondo la Cgia di Mestre, inoltre, la Tasi penalizzerà di più le prime abitazioni più modeste (A2, civili; A3, economiche; A4, popolari), arrivando a gravare più dell’Imu del 2012. Paradossale: e dire che si è fatto tanto per tagliare l’Imu ai ricchi.

Proprio sul nodo della casa, infatti, i «lealisti» berlusconiani, con Sandro Bondi in testa, continuano a puntare i piedi: «Ora ci troviamo un’altra tassa sugli immobili, che in parte si aggiunge addirittura all’Imu. È una mazzata micidiale sul ceto medio, così si contraddicono gli impegni presi con i nostri elettori».