Quale sia la filosofia del videogamer ce lo spiega Massimo Villa – giornalista per testate web dedicate ai videogiochi tra cui Gamesource, MMORPGItalia e MMO.it – nel suo libro «Gioco dunque sono» (Il Melangolo). Non si deve tuttavia pensare (o temere?) un corpo a corpo tra Lara Croft e Lord British da un lato e Kant e Hegel dall’altro: al contrario il libretto di Villa è estremamente piacevole e scorrevole. Informato ed istruttivo soprattutto quando non sconfina dall’ambito prettamente videoludico. Difficile infatti perdonargli leggerezze come quando afferma candidamente che i videogiochi hanno soppiantato i giochi da tavolo (ignorando completamente la fortuna attuale del genere con migliaia di appassionati che affollano gli stand del PLAY di Modena o di Lucca Comics & Games), o quando accenna alle potenzialità di Minecraft nella didattica della storia ingnorando che esiste una «educational edition» di Minecraft realizzata appositamente per l’utilizzo del videogioco nella didattica non solo storica, o infine quando sostiene che il «parkour» sia stato fatto conoscere ai più da Assassin’s Creed quando l’anno prima dell’uscita del videogioco nei cinema fu proiettato Casinò Royale con Daniel Craig per la prima volta nei panni di James Bond all’inseguimento di Sébastien Foucan, uno dei creatori della disciplina.

Quando però non esce dal recinto videoludico Villa non solo propone una lettura gradevole ma anche piacevolmente informata. Senza proporre (l’ennesima) storia del genere ma prendendo alcuni argomenti significativi e declinandoli ambito videoludico: il bene e il male con Diablo e Tomb Raider, la storia e Assassin’s Creed, la realtà alternativa con Ultima Online e World of Warcraft, la morte con Dark Souls e Fire Emblem, e poi l’arte, la simulazione, gli alieni, ecc. Temi anche «pesanti» trattati con leggerezza, senza pretendere di sviscerare verità eterne o significati profondi, ma mettendo in relazione i videogiochi esaminati con la vita di tutti i giorni, in primis quella dell’autore stesso. Raccogliendo anche testimonianze esterne, come quella di Eva Widermann, artista per giochi Blizzard come Hearthstone. Mostrando come il videogioco è diventato una componente dell’ambiente in cui tutti viviamo e proponendo sia agli appassionati sia ai semplici curiosi suggerimenti per andare oltre il semplice «smanettare», magari sul cellulare mentre siamo sull’autobus o in fila in qualche ufficio pubblico, e scoprire la storia, l’arte e la cultura che stanno alla base di questo nuovo medium.
Poi in realtà un discorso filosofico sui videogiochi, nonostante il titolo ad effetto, resta ancora tutto da fare, ma non è neppure detto sia un male se pensiamo ai risultati non certo eccelsi, in altri lidi, su questo ambito.

Il riferimento è a «Ten Things Video Games Can Teach Us (About Life, Philosophy and Everything)» di Jordan Erica Webber e Daniel Griliopoulos (Robinson, 2017): dove i due autori si propongono di analizzare quanta e quale filosofia ci sia nei videogiochi. Il maggior problema del libro è il suo essere quasi digiuno di filosofia occidentale moderna (Kant, Hegel, Marx, ecc.). Non è un caso che i riferimenti maggiormente pertinenti siano fatti coi filosofi antichi (su tutti Platone e Aristotele) e con non eccessivamente noti contemporanei. Per dire: Kierkegaard e Schopenhauer non sono mai citati, Heidegger ottiene una sola menzione e Nietzsche due.

Per un discorso serio sul rapporto tra filosofia e videogiochi per il momento è meglio attendere e divertirsi con le scorribande videoludiche di Massimo Villa.