Ogni volta che la vita interrompe, all’improvviso, ciò che lei stessa ha voluto iniziare, la ragione rinnova la scoperta dei suoi limiti. La scomparsa troppo precoce di Luigi Reitani, il maggior germanista italiano della sua generazione, non è soltanto una tragedia incomprensibile, ma anche una perdita enorme per la cultura del nostro paese e per il delicatissimo tema delle sue relazioni con il mondo tedesco. Più di quanto non sia apparso agli occhi dell’opinione pubblica, Luigi Reitani, che aveva raggiunto fama internazionale con la sua monumentale e innovativa edizione integrale dell’opera di Hölderlin, ha cambiato il modo di concepire il lavoro e la stessa identità intellettuale del germanista conferendogli una dimensione completamente nuova.

DA SEMPRE il lavoro del filologo si svolge senza clamore. Dotato di un non comune talento politico e diplomatico Reitani è stato, al contempo, uno studioso di genio e un abilissimo tessitore di rapporti fra Italia, Austria e Germania; e lo ha fatto con un tatto e un’ironia che suggerivano un’impressione di facilità laddove, invece, era all’opera un’intelligenza instancabile e raffinatissima. Molti hanno ricordato, anche oggi, i suoi importanti studi su Schnitzler, sulla cultura viennese di fine secolo, su Ingeborg Bachmann, sull’amatissimo Thomas Bernhard e, naturalmente, i suoi tanti e preziosi lavori su Hölderlin e sull’età di Goethe. Allo stesso modo, molti hanno ricordato che Luigi Reitani non ha soltanto ricoperto incarichi di rilievo in Italia e in Germania – come assessore alla cultura del comune di Udine prima e come direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Berlino, la città in cui da allora aveva scelto di vivere con la moglie e le due amatissime figlie – e aveva ricevuto sia l’Ordine al merito della Repubblica Austriaca sia quello della Repubblica Federale Tedesca.

Come pochissimi altri Reitani ha rappresentato il miglior esempio di un moderno intellettuale europeo. La stessa ineguagliabile adattabilità che aveva permesso a lui, nato a Cerignola e legato non solo nel ricordo alle sue origini pugliesi, di scegliere per qualche tempo Udine come città adottiva, lo aveva portato prima a Vienna, poi a Klagenfurt, a Basilea, a Berlino. Ma chi lo conosceva sa che tutto questo gli è riuscito con uno stile inconfondibile, con la capacità di unire una pacatezza riflessiva, mai incrinata da una turbolenza improvvisa, a un rigore filologico implacabile che era anche la cifra della sua misura morale.

Luigi Reitani era un illuminista saggiamente attraversato dai dubbi che aveva assorbito durante i suoi studi sulla civiltà danubiana. Con la rara capacità, per giunta, di mostrare che la filologia non si nutre di puro acume, ma della passione per i propri autori.

DI QUESTO atteggiamento i suoi lavori recano traccia soprattutto nelle tante scoperte con cui aveva insegnato a vedere con occhi diversi quello che troppi credevano di sapere da sempre. Era capitato all’epoca dei suoi primi studi su Schnitzler che gli avevano permesso di portare alla luce, a Cambridge, l’unica lettera dello scrittore a Sigmund Freud e capitò in seguito, innumerevoli volte, affrontando Hölderlin: la sua edizione mondadoriana è diventata un’opera di riferimento anche e soprattutto in Germania per l’enorme acribia usata nel decifrare i caotici manoscritti del poeta, una delle sfide più improbe poste dalla letteratura tedesca.
Da due anni lavoravamo insieme all’impresa di dare un nuovo sviluppo all’Istituto Italiano di Studi Germanici di Roma, dove avrebbe voluto finire la sua carriera. Eravamo diventati molto amici, per parte mia posso dire che gli volevo bene. Se ci capitava di dover risolvere un problema spinoso e io mi ci accanivo inutilmente, la sua formula magica era: proviamo a girare la cosa in positivo.

CON LA STESSA PACATEZZA riusciva a placarmi in occasione delle mie non rare e eccessive intemperanze. Non si dovrebbe essere sorpresi dall’amicizia. È come se il più nobile dei sentimenti umani ti tendesse un trabocchetto. Ma lui mi aveva sorpreso. Capitava che dopo la partenza da Roma mi avvisasse di essere arrivato sano e salvo a Berlino. Ti sia lieve, Luigi, l’ultimo volo.