Filologia e impegno culturale militante. Rifiuto laico e razionale di ogni dogmatismo politico e intellettuale, ma nel tempo stesso capacità di riproporre su nuovi basi la discussione su un autore«classico» per eccellenza come Aristofane. Carlo Ferdinando Russo (scomparso a 91 anni nel luglio del 2013), per quasi un cinquantennio maestro di Letteratura greca all’Università di Bari (e qui scolarca indiscusso, forgiatore di altri agguerriti studiosi come Giuseppe Mastromarco, Francesco De Martino, Onofrio Vox e spirito guida delle più giovani leve, come Piero Totaro, Raffaele Ruggiero, Tiziana Drago), ha saputo segnare con rigore intellettuale la storia culturale del secondo Novecento italiano.
Ne offrono conferma i suoi studi, dal meritatamente celebre Aristofane autore di teatro, pubblicato in prima edizione da Sansoni nel 1962, alle edizioni dell’Apokolokyntosis senecana e dello Scutum esiodeo, oltre a una miriade di altri studi, tra cui spicca il contributo, a quattro mani con l’archeologo Giorgio Buchner, sulla cosiddetta «coppa di Nestore» di Pitecusa, l’antico nome di Ischia, e l’epigramma inciso, datato VIII secolo a. C. e pertanto antichissima testimonianza della circolazione anche nella periferia occidentale della grecità dei poemi omerici. Ma il nome di «Lallo» Russo (così chiamato dagli amici) è indissolubilmente legato a «Belfagor», la «sulfurea» rivista creata dal padre, l’italianista Luigi, che il figlio ha saputo conservare nel tempo come punto di incontro e discussione critica tra saperi diversi (un vero e proprio laboratorio interdisciplinare), in ogni caso accomunati dal rifiuto polemico ed «eretico» di ogni conformismo, accademico o politico che fosse, e di ogni moda.
La lezione del padre, nel suo sofferto ma convinto distaccarsi dal crocianesimo delle origini per approdi più concretamente storicisti, è stata, dunque, imprescindibile per il giovane Russo e ha trovato il suo naturale completamento, negli anni di formazione alla Normale di Pisa, nel magistero di Giorgio Pasquali. La filologia pasqualiana, nella sua visione «totalizzante» secondo lo spirito di Wilamowitz (quindi in grado di cogliere la pienezza storica della cultura antica, e non solo quella meramente formale, o peggio «estetizzante», come era allora tipico di una parte consistente dell’antichistica italiana), ha corroborato con efficacia il suo metodo di ricerca, acuendo con decisione la diffidenza verso tendenze critiche astratte e meramente formalistiche (grazie anche all’influenza di Günther Jachmann, di cui fu collaboratore a Colonia subito dopo la guerra, e soprattutto di Eduard Fraenkel, di cui ospitò a Bari numerosi seminari). Questo ha consentito a Carlo Ferdinando di affrontare con piglio sicuro problematiche di ardua complessità, come la teatralità implicita nell’epos omerico (già intuita da Platone nella Repubblica, non compiutamente sviluppata in tutte le sue conseguenze sul piano critico) e le concrete modalità di composizione di un autore di teatro come Aristofane – ponendo particolare attenzione alla stretta relazione tra l’opera e la sua rappresentazione, dal teatro cui era destinata dall’autore, e pertanto al relativo pubblico e più in generale allo spazio scenico e agli strumenti necessari per rendere compiutamente omogenea la performance teatrale: una linea di ricerca portata poi avanti con risultati di sicuro interesse da Mastromarco e da Totaro.
Ulteriori considerazioni sulla figura di Russo e sulla sua centralità nel panorama culturale italiano sono ricavabili dal bel volume Ricordo di Carlo Ferdinando Russo pubblicato da Olschki – storico e benemerito editore di «Belfagor» a partire dal 1961 fino alla cessazione delle pubblicazioni nel 2012 per volontà dello stesso Russo – per le cure di Piero Totaro e Raffaele Ruggiero, che hanno così raccolto gli interventi tenuti in occasione di un convegno barese svoltosi il 1° dicembre 2014 (pp. xiv-58, euro 18,00). Già nelle loro premesse i curatori delineano un ritratto a tutto tondo dello studioso, alieno da astrattismi à la page e dalla grigia routine malmostosa e burocratica, con cui purtroppo l’ondata neoliberista in voga ha oppresso la ricerca e gli studi. Mauro Tulli, presidente della Consulta Universitaria del Greco, ha ricordato il contributo di Russo al momento della costituzione della CUG nel 1981 e il suo ruolo attivo a difesa della specificità dell’insegnamento della lingua greca (quando all’orizzonte si profilavano le prime avvisaglie, non ancora compiutamente minacciose, degli sconsiderati attacchi alle discipline umanistiche e alla loro «utilità»). Allo spessore del filologo, alle sue innovazioni e alle sue ricerche (certo Aristofane, come detto, ma anche Giuliano, altro personaggio eretico e «apostata» per antonomasia, e il romanziere Achille Tazio) sono dedicati i lavori di Luciano Canfora e di Bernhard Zimmermann: Canfora evidenzia tra l’altro la decisiva influenza di Wilamowitz (e di Pasquali) nel vagliare la storia del testo di Aristofane partendo dalle prime fasi della tradizione, non esclusivamente dai manoscritti superstiti. Zimmermann, invece, rilegge con originalità Aristofane autore di teatro, soffermandosi in particolare sulla tesi di Russo per la quale lo spazio della rappresentazione determina contenuto e forma del testo teatrale, anche per quanto riguarda l’utilizzo di dettagli (come il numero degli attori, l’impiego di comparse mute o di strumenti come l’ekkyklema) che «possono avere ripercussioni significative sulla comprensione di una commedia» (p. 19). Il denso articolo di Mario Isnenghi ci porta all’interno della «cucina» di «Belfagor»: sono sapidamente ricordati molti episodi «dietro le quinte», senza tuttavia indulgere al gusto aneddotico (per quanto di altra scuola e formazione, Russo volle Isnenghi come condirettore a partire dal 2007). Russo appare in queste pagine come il demiurgo che dà sostanza e continuità, anche grazie alla sua spiccata (e talora non facile) personalità, al progetto «luciferino» della rivista paterna, fino alla scelta sofferta di cessare le pubblicazioni l’anno prima della morte.
La bibliografia dello studioso, a cura di Antonio Resta e Raffaele Ruggiero, chiude questo denso e interessantissimo volumetto che ci restituisce la compiutezza di un intellettuale ancora dalla vivace e penetrante attualità.