La ristorazione italiana – 300mila imprese con circa 1,5 milioni di lavoratori e un valore aggiunto di 90 miliardi di euro – perderà 8 miliardi di euro per l’impatto dell’epidemia Covid-19 sull’economia. La stima è del Centro studi della Federazione Italiana Pubblici Esercizi (FIPE), secondo cui nel primo trimestre del 2020, anche per gli effetti delle ultime misure che hanno imposto la chiusura totale delle attività di ristorazione, il settore perderà oltre 10 miliardi di euro, a cui si aggiungerà un’ulteriore perdita nel secondo trimestre. Un lieve recupero, che ad oggi non è affatto scontato, potrebbe arrivare nel secondo semestre dell’anno, che chiuderà comunque con un bilancio pesante, una perdita pari a circa il 10 per cento del fatturato.

LA CRISI DELLA RISTORAZIONE (blocco totale delle attività, possibile solo la consegna a domicilio, utilizzando i fattorini dei delivery) ha conseguenze negative sul comparto agricolo e agroalimentare, che ne è il principale fornitore di materie prime – verdure, ortaggi, olio, vino, cereali, legumi, ma anche carne, uova, pesce -. Le conseguenze sono misurabili su due livelli: il mancato pagamento delle fatture emesse per ordini già consegnati, a causa della mancanza di liquidità, e il blocco di nuovi ordini, perché mancano almeno due settimane alla possibile riapertura dei locali.

UNA PARALISI DEL MERCATO nazionale, un circolo vizioso che le principali organizzazioni di categoria segnalano da alcuni giorni: campagne come #MangiaItaliano (Coldiretti), «Io resto in campagna per voi» (Cia – Agricoltori italiani) o l’appello lanciato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che su Facebook ha scritto «ognuno di noi può iniziare con un piccolo gesto: comprare e mangiare prodotti Made in Italy».

Le antenne delle organizzazioni degli agricoltori evidenziano i settori più a rischio: Cia-Agricoltori Italiani ha spiegato come i caseifici abbiano iniziato «a rallentare le lavorazioni e a chiedere agli allevatori di diminuire la produzione, a causa soprattutto della chiusura delle mense e dei canali bar e ristorazione», e per questo ha invitato le aziende italiane che trasformano il latte a «disdire i contratti con l’estero e di acquistare dagli allevatori italiani, così come ai cittadini, di comprare innanzitutto latte fresco italiano».

L’ITALIA CHE IMPORTA materie prime agricole rischia, secondo Coldiretti, un danno economico pari a circa 45 miliardi, quello che potrebbe arrivare da un blocco dell’export agroalimentare Made in Italy a causa degli stop alle frontiere posti da un numero crescente di Paesi europei, in particolare Austria e Slovenia. Per questo l’organizzazione plaude l’appello dell’Unione Europea a garantire la libera circolazione degli alimenti, con le linee guida presentate dalla Commissione agli Stati membri sulle misure di gestione delle frontiere connesse alla salute nel contesto dell’emergenza COVID-19.

Secondo la Commissione – sottolinea la Coldiretti – «la libera circolazione delle merci è fondamentale» e «ciò è particolarmente cruciale per i beni essenziali come le forniture alimentari e le forniture mediche e protettive». Per questo, spiega «le misure di controllo non dovrebbero causare gravi interruzioni delle catene di approvvigionamento dei servizi essenziali di interesse generale e delle economie nazionali e dell’economia dell’UE nel suo insieme». Quasi i due terzi (63%) delle esportazioni agroalimentari italiane – precisa la Coldiretti – interessano i Paesi dell’Unione Europea, dove la crescita nel 2019 era stata del 3,6% (la Germania è il principale partner, con l’export che raggiunge i 7,2 miliardi nel 2019).

L’ALLARME DI COLDIRETTI evidenzia invece i rischi legati alla sospensione dell’accordo di Schengen, che potrebbe mettere a rischio oltre un terzo (37%) dell’alimentare italiano, quello che varca i confini dell’Unione europea e che vale 16,3 miliardi di euro (nel 2019, in aumento del 13%). Per questo, secondo l’organizzazione la misura non dovrebbe ostacolare in alcun modo la circolazioni delle merci. Il principale cliente del Made in Italy fuori dai confini comunitari, ricorda la Coldiretti, sono gli Stati Uniti, con un valore di 4,7 miliardi nonostante l’applicazione dei dazi. Il prodotto più esportato è il vino, ma vanno forti anche formaggi, salumi, olio di oliva e ortofrutta: la tenuta delle esportazioni dipende ovviamente anche dalla diffusione della pandemia nel mondo, e dalle risposte che i governi prenderanno per fronteggiare l’emergenza e limitare il numero dei contagi. Non ha senso chiedere certificazioni sanitarie «virus free» su merci alimentari provenienti dall’Italia, ma forse è opportuno chiedere in che misura i mercati esteri potrebbero ridurre l’acquisto di vino italiano, un comparto su cui pesa anche la inevitabile esigenza di posticipare il Vinitaly, che si sarebbe dovuto tenere come sempre ad aprile e al momento è rimandato al prossimo 14-17 giugno.