Gli scalini che dall’alto della sala scendono al podio del Concertgebouw di Amsterdam sono ripidi e disuguali. Lo sa bene Christoph Eschenbach, direttore e pianista tedesco che ha accompagnato la Filarmonica della Scala nel debutto, atteso da più di trent’anni, nella sala olandese. La prima discesa per Eschenbach, nel lontano 1965, si risolse in una clamorosa caduta; fu Herbert von Karajan qualche anno dopo– suonavano insieme a Justus Franz il Triplo Concerto di Mozart – a suggerirgli un’attenta prova di discesa della scala, come nelle ribalte televisive. E infatti nel pomeriggio del debutto Eschenbach, completo nero e figura snella, è arrivato sul podio con studiata elasticità. Il concerto della Filarmonica, nella serie pomeridiana più affollata, con tanto di diretta radiofonica, si è aperto con un Berlioz scintillante ma asciutto; taglio interpretativo che dopo il Carnevale Romano si ritrovava anche nella Sinfonia «Italiana» di Mendelsson, di cui Eschenbach curava trasparenze e equilibrio strumentale, in una prospettiva sovranamente apollinea.

Una linea perseguita persino nella Quarta Sinfonia di Caikovskij, inusualmente agile e estroversa anche nei passaggi più accesi, con pochi abbandoni forse, ma irrobustita dalla pasta densa degli archi della Filarmonica. Archi che al Concertgebouw hanno liberato la gloria di un suono avvolgente anche nell’Overture dal Gugliemo Tell, immancabile bis «portabandiera», insieme a fiati e ottoni brillantemente esaltati da un’acustica ben diversa rispetto alle asperità della sala del Piermarini. Del resto la sala olandese, inaugurata nel 1888, tiene testa anche al Musikverein di Vienna per la perfezione acustica. Il Concertgebouw (letteralmente: edificio per concerti) ha parlato a lungo italiano, con Riccardo Chailly alla guida dell’orchestra di casa dal 1988 al 2004. Qualcuno insinua che, all’epoca delle grandi tournée di Riccardo Muti, evitare lo scambio di camerini fra direttori fosse una scelta di prudenza, ma in verità il singolare ritardo di questo debutto si deve più che altro al caso.

L’importante è che, dopo i successi a Varsavia e Vilnius, l’incantesimo si sia spezzato, con una festosa standing ovation che promette forse un ritorno con tempi più brevi. La tournée della Filarmonica, stavolta con Yuri Temirkanov sul podio, è tornata in Italia dopo una tappa al Teatro degli Arcimboldi di Milano, il 9 marzo al Parco della Musica di Roma. Per combinazione, la sera del concerto romano, Pappano e l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia suonavano a loro volta al Concertgebouw, con gran successo: ecco un volto dell’Italia, fra Milano e Roma, che ci si rallegra possa rappresentarci in Europa

Il concerto romano ha offerto una stimolante occasione di confronto fra concezioni diverse della Quarta Caikovskiana, ma anche una prova di adattabilità della compagine milanese, che con Temirkanov ha trovato tempi, fluidità, dimensione plastica, varietà di colori e pienezza di portato patetico (che non significa rutilanti clangori troppo cari a altre bacchette) semplicemente sbalorditivi. Il gioiello più gradito al pubblico romano – che notoriamente al capolavoro rossiniano tributò quasi duecento anni fa un successo contrastato – è stata forse l’Ouverture dal Barbiere di Siviglia. Ennesima dimostrazione di come le etichette non si addicano a Termirkanov, capace di riportare, con morbida brillantezza, alla giusta misura una pagina troppo di frequente tramutata in spasmodica gara di velocità. Speriamo non si debba aspettare troppo tempo per ritrovarlo sul podio a Milano.