Le aree interne d’Italia non sono il deserto, ma un laboratorio d’innovazione. La Strategia nazionale aree interne, grazie alle azioni di scouting, ha la capacità di incrociare gli «innovatori», quei soggetti che valorizzano le peculiarietà e le caratteristiche di ogni singolo territorio, suggerendo risposte a chi si occupa di politiche pubbliche.

A VILLA SANTA MARIA, un comune di 1.350 abitanti in provincia di Chieti, nell’area interna del Basso Sangro-Trigno, c’è ad esempio dal 1939 un istituto alberghiero, figlio di una tradizione locale che inizia nel Seicento. La storia recente dell’istituto, con una struttura rinnovata nel 2008, racconta di circa 750 iscritti, che seguono i corsi di cucina sala bar e accoglienza turistica. La cosa singolare è che raggiungono Villa Santa Maria da tutto l’Abruzzo ma anche dalle 5 Regioni circostanti, Puglia, Campania, Lazio (da Latina e Frosinone), Marche, Molise. Quassù ci sono due convitti, che ospitano circa 300 studenti dei primi tre anni: i ragazzi del quarto e del quinto anno, invece, affittano casa private, i molti immobili altrimenti sfitti del borgo. «In un paese piccolo, i genitori si fidano», spiega il sindaco di Villa Santa Maria, Giuseppe Finamore. Definisce l’alberghiero «la Fiat di Villa Santa Maria», per la capacità di creare un indotto importante per il territorio. Nel corso del 2017 è stata finanziata la realizzazione di una palestra e dell’aula magna: l’obiettivo è di realizzare una sorta di college, a 50 minuti da Pescara, a 1 ore e 50 minuti da L’Aquila, che è il capoluogo regionale. Per rafforzare un esempio di eccellenza tra le scuole delle aree interne del Paese.

A BICCARI, CHE È PROVINCIA DI FOGGIA, nell’area interna dei Monti Dauni, a giugno 2017 è nata invece una cooperativa di comunità. I soci sono 202, su una popolazione di 2.700 abitanti. La cooperativa ha strutturato pacchetti turistici come bike-tour o #GastroBorghi. Oltre alla promozione del territorio, la cooperativa si occupa anche della gestione di un vivaio forestale di 5 ettari, con la messa in produzione di frutti di bosco, e di inclusione sociale. Alcuni progetti sono dedicati alla filiera bosco-legno (del territorio fa parte la cima più alta della Puglia, i 1.151 metri del Monta Cornacchia). Il legno è trasformato in giochi per bambini, anche nell’ambito dei laboratori tenuti da «Mastro Geppetto». La cooperativa ha anche censito i terreni incolti a Biccari, accordandosi con i proprietari per un subentro nella gestione: perché le terre in abbandono tornino a produrre.

ALLA FILIERA BOSCO-LEGNO RIMANDA ANCHE LA STORIA di «12 to many», una rete d’impresa del territorio nata nell’area interna dell’Alta Carnia, in Friuli. Il numero 12 indica i dodici chilometri di raggio del cerchio con al centro i boschi della Val Pesarina, da cui arrivano i 43 alberi usati per costruire la casa di Samuele Giacometti, un marchigiano emigrato a Prato Carnico. Quel primo intervento generò per il territorio un indotto di 90 mila euro, occupando 30 persone, e ha dato il la alla nascita della rete, di cui fanno parte il boscaiolo, la falegnameria, il carpenterie, ma anche soggetti che trasformano in legno locale in strumenti preziosi: i due fratelli Leita, che erano restauratori e oggi nel loro laboratorio costruiscono clavicembali, i primi strumenti musicali al mondo certificati per la sostenibilità della filiera.
Dalla rete 12 to many è nata l’idea di un «condominio forestale», cioè quella di far coordinare i proprietari di piccoli appezzamenti boschivi privati, per gestirli in modo sostenibile e garantire anche una redditività. Perché non ha senso, specie nelle aree interne del Paese, importare legname dall’estero.

QUALCUNO HA DECISO DI METTERE IN RETE TERRENI agricoli anche in Alta Val Marecchia, in provincia di Rimini: in questa fetta di Romagna che si arrampica fin quasi a mille metri, verso Toscana e Marche, 40% della superficie agricola utilizzata è andata persa dagli anni Ottanta, e oggi la realtà è fatta da aziende agricole frammentate, con pochi conduttori giovani (l’età media supera i 60 anni). Alcuni giovani, però, stanno costruendo un’agricoltura per il futuro. L’elemento centrale è il rafforzamento della vocazione cerealicola dell’area, a partire dalla coltivazione di varietà tradizionali di grano, come il Mentana, il Gentil Rosso, il Grano del Miracolo, il Frassineto: grazie al progetto di ricerca Sgranava si selezionano le sementi migliori, mentre un gruppo di aziende ha dato vita alla Cooperativa Valmarecchia bionatura. Il progetto – avviato nella primavera del 2018 – riunisce cinque aziende agricole, per 300 ettari. Tra i soci ci sono anche alcuni giovani e nuovi agricoltori, che in rete ritengono di poter avere accesso a filiere di trasformazione e distribuzione più ampie.

L’accesso ai servizi essenziali è uno degli elementi nevralgici della Strategia nazionale aree interne. In Alta Irpinia, 25 Comuni per 64 mila abitanti, un quarto dei quali over 65 e sparsi su mille e cento chilometri quadrati. Qui si stanno realizzando un Ospedale di comunità e un’Unità per le cure primarie nei locali della Struttura polifunzionale per la salute di Bisaccia, a quasi 40 minuti dall’unico ospedale presente, quello di Sant’Angelo dei Lombardi. A inizio agosto sono partiti i lavori del primo intervento finanziato dalla Snai: 10 posti letto per Pazienti in Stato Vegetativo e di Minima Coscienza. Un intervento che riconosce la dignità ai lungodegenti, e offre un sostegno alle loro famiglie.

SOSTEGNO CHE NON MANCA NEMMENO ALLE GIOVANI famiglie: a Sestino e Badia Tedalda, in provincia di Arezzo, nell’area interna del Casentino-Valtiberina, sono aperti due asili nido. Parliamo di due Comunie di mille e trecento (il primo) e un migliaio (il secondo) di abitanti. Grazie a un piccolo finanziamento pubblico è possibile contenere le rette a carico delle famiglie, a meno di 200 euro per un servizio che comprende il pranzo. A Sestino quest’anno si sono iscritti in 11. Le due strutture permettono alle giovani famiglie della zona di partecipare al mercato del lavoro, migliorando il livello della qualità della vita. Altrimenti le coppie se ne andrebbero, e nessuno sceglierebbe di vivere qui, dove tra l’altro si fatica a trovare un pediatra.

Tra le giovani coppie ci sono anche le famiglie migranti, quelle che potrebbero rappresentare un futuro per le aree interne. È l’integrazione uno dei focus dell’azione di Rise Hub, associazione di promozione sociale nata nel 2015 in Valle di Comino, un’area interna di 18 Comuni nella provincia di Frosinone. A fondarla sono stati ritornanti e nuovi abitanti: giovani nati qui, e rientrati nella valle dopo esperienze di studio e lavoro fuori, ed altri arrivati da Africa ed Asia. Insieme, provano a rispondere alla domanda «qual è il futuro che l’Italia ha in mente per noi?». Oggi il Comino offre loro poche opportunità: i centri per trovare i servizi più importanti distano in media oltre 45 minuti dai Comuni dell’area, e negli ultimi dieci anni il 4% degli abitanti se n’è andato.

Tra i tanti «strumenti» dell’azione di Rise Hub c’è anche un progetto di catering. Si chiama Manì, e propone specialità del Mali, del Pakistan, della Costa d’Avorio e del Gambia, che sono i Paesi d’origine dei cuochi. La cucina itinerante attraversa tutto la Valle: lo stand è presente alle feste patronali e alle sagre, ma è ancheu a disposizione dei privati. E presto potrebbe diventare un’impresa sociale: il cibo come strumento d’integrazione.