“Se ci provassero, a impacchettare la mia macchina, mi incazzerei di brutto. E così la pensano gli altri operai”. Ciro D’Alessio, delegato Fiom alla Fiat di Pomigliano, non ha molto gradito le nuove tecniche di marketing del Lingotto. “Sono venuti anche da noi – racconta – Mettevano quel cellophan, poi il cuore spezzato: e ti dicevano che devi comprare italiano, che la Fiat fa ottime offerte. Ma certo ci vuole faccia: hanno la sede legale e pagano le tasse all’estero, però noi dobbiamo comprare italiano. Io peraltro non ho manco i soldi per acquistare un’auto, sto in cassa da 4 anni”. Per la cronaca, ieri Sergio Marchionne ha definito “geniale” l’idea del pacco.

Insomma, non solo le discriminazioni, i licenziamenti, i processi (che hanno dato ragione alla Fiom), ora arrivano anche le pubblicità. Da Melfi commentano un altro spot, che li vede protagonisti. Il famoso “Happy”, dove le tute blu ballano felici tra le linee, insieme al direttore dello stabilimento, diventato virale sul web. “Abbiamo visto la classe operaia che balla, ma lì gli operai non c’erano – protesta Dino Miniscalchi, delegato Fiom alla Fiat di Melfi – C’erano i capi e capetti in quel video: quando decidono queste cose, fanno le assemblee con i lavoratori da soli, fermano le linee e tengono noi della Fiom ben lontani. Gli operai veri, quelli che non ballano, oggi hanno paura per il loro futuro, e vivono da anni in cassa”.

Poco da ridere e da ballare hanno anche a Termini Imerese, dove la Fiat ha chiuso da due anni e mezzo, e per il momento non si vedono ancora spiragli per 1200 persone. “Lunedì abbiamo l’ennesimo tavolo al ministero dello Sviluppo – dice Roberto Mastrosimone, segretario Fiom Sicilia – Parlano sempre di nuovi gruppi interessati, ma ormai chi si fida più. Il nuovo governo? Vorremmo sperare che qualcosa cambi, vedremo. Certo non ci aiuta il fatto che la Fiat continui a voler esercitare un monopolio di fatto, quando porta le sedi all’estero e in Italia produce sempre meno: adesso siamo a 400 auto mila l’anno, quando nel 2009 Marchionne aveva parlato di un obiettivo di 1,3-1,4 milioni. Dovremmo puntare sull’auto ecologica, l’ibrido e l’elettrico: ma dovrebbe farlo tutto il Paese”.

Anche da Mirafiori raccontano che il lavoro è poco e gli investimenti Fiat ancora solo un miraggio: “Si lavora 3-4 giorni al mese – dice la delegata Fiom Nina Leone – Siamo sempre alla politica degli annunci, che non si concretizzano mai. Aspettiamo il 6 maggio, quando Marchionne presenterà il suo piano da Detroit”.

E se va dato atto al governo Renzi di aver portato verso una conclusione positiva i casi Electrolux (taglio del salario scongiurato, ma si deve ancora lavorare per far ritirare gli esuberi) e Micron (accordo e niente esuberi), alla Fiom adesso confidano nel terzo gol: “Speriamo, dopo 4 anni di cassa, che finalmente sia la volta buona – dice Silvia Curcio, delegata Fiom della Irisbus di Avellino – Il viceministro Claudio De Vincenti ha lavorato bene fin dal governo Monti, e ora pare che l’esecutivo abbia individuato un compratore: si tratterebbe di una newco tra un grosso produttore cinese e capitale italiano, forse un 20% Finmeccanica”.

La Irisbus era di Fiat Industrial, e produceva autobus: non è che le commesse manchino, ma l’azienda torinese ha pensato bene di delocalizzare in Francia (dove per i trasporti ci sono sostegni governativi) e Repubblica ceca, non preoccupandosi di fare terra bruciata in Italia, per non avere concorrenti. “All’ultima riunione al ministero, il 9 aprile – racconta la delegata Fiom – Fiat avrebbe voluto scongiurare il prolungamento della cassa in deroga, che ci scade il 30 giugno, e aprire per tutti le mobilità”. Insomma, si voleva mettere una pietra tombale sulla produzione.

“De Vincenti ha preso per due ore da parte il rappresentante Fiat, e alla fine lo ha convinto – racconta ancora Silvia Curcio – Abbiamo ottenuto la proroga della cassa fino a fine anno, ma se va in porto la nuova società, che dovrebbe comprare anche la Breda Menarinibus di Bologna, potremo avere in Italia un nuovo polo degli autobus. Il nostro sarebbe uno dei pochi casi di azienda che chiude, e che poi riapre non cambiando la sua mission produttiva”.