Per il titolo Ferrari è stato il giorno meno adatto per esordire a Piazza Affari, visto il tonfo delle borse di tutto il mondo a causa della contrazione dell’economia cinese. Comunque il titolo della Rossa ha tenuto, ed anzi a fine seduta ha chiuso a 43,67 euro, sopra i 43 dell’avvio. Mentre a Wall Street, dove Ferrari aveva già esordito il 21 ottobre scorso con la messa in vendita del 10% delle azioni di Maranello, all’ora di cena scambiava a 46,6 dollari, in calo del 2,9% rispetto al 31 dicembre.
“Ci vorrà ancora un po’ di tempo per capire – spiegava Sergio Marchionne a metà giornata – bisogna attendere l’assestamento, ci vuole ancora qualche giorno”. Questo perché l’80% della Ferrari – il restante 10% è di Piero Ferrari – è stato assegnato agli azionisti Fca, con un rapporto di concambio di 1 a 10, cioè un titolo Ferrari ogni dieci di Fca. Secondo gli analisti, solo venerdì 8 sarà il primo giorno in cui la totalità delle azioni Ferrari assegnate con lo scorporo sarà quotata regolarmente.
Per certo, grazie al patto che resta saldo fra gli Agnelli-Elkann e Piero Ferrari, il controllo della Rossa resta nelle mani della famiglia torinese e dell’erede del fondatore della casa automobilistica. E nelle casse del Lingotto sono già entrati i 2,25 miliardi che erano in pancia alla Ferrari, essenziali per ridurre il debito che pesa sul titolo Fca. Un debito che, nei piani di Marchionne, dovrebbe essere azzerato nel 2018, al termine del piano industriale quinquennale varato dal vertice Fca.
L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal fatto che da oggi in poi Fiat Chrysler Automobiles dovrà fare corsa in solitaria, senza una Ferrari che da sola assicurava più del 12% del margine operativo lordo del gruppo. Sotto questo aspetto la giornata borsistica a Milano è stata negativa per Fca, che ha chiuso a 8,15 euro. In calo, calcolato da Bloomberg con le rettifiche del caso, di oltre il 4% rispetto a mercoledì scorso, ultima seduta del 2015 in cui era quotata insieme a Ferrari 12,92 euro. Niente di preoccupante agli occhi di Marchionne &c., visto che nei piani del Lingotto il titolo Fca senza Ferrari era stimato in una forchetta dai 7 ai 9 euro.
Quanto alla capitalizzazione dei marchi, oggi Fca vale circa 10,8 miliardi di euro, mentre Ferrari circa 8 miliardi. La Rossa, come ha spiegato Marchionne, “verrà trattata come un titolo del lusso”. Per Fca è vero il contrario. Il settimo costruttore automobilistico mondiale ha archiviato, in Italia, un 2015 con 445.989 immatricolazioni, il 18,34% in più del 2014 e con una quota salita dal 27,7 al 28,32%, in un panorama nazionale che ha registrato 1.574.872 nuove vendite, con una crescita del 15,75% rispetto al 2014. Ma Marchionne, che in conferenza stampa ha escluso la vendita di Comau e Magneti Marelli, dovrebbe per forza di cose accelerare con nuovi modelli che invece ancora latitano, specie quelli con il marchio Alfa.
A ben vedere, anche un fan dichiarato del “modello Marchionne” come Marco Bentivogli della Fim Cisl, nel plaudire all’operazione finanziaria, ricorda: “Questo consentirà al gruppo di avere ancora più risorse per cogliere gli obiettivi del piano industriale entro il 2018 che, per quanto riguarda gli stabilimenti italiani, dovrà rappresentare la fine della cassa integrazione e la piena occupazione”. Un obiettivo ancora assai lontano. Mentre è già vicina l’emissione di nuovi bond Ferrari. A ennesima conferma di un Marchionne più finanziere che capitano d’industria.