Davvero sorprendente il nuovo spettacolo che Giorgio Barberio Corsetti presenta nell’ambito di Romaeuropa Festival, Gospodin (all’Eliseo, fino a domenica 16 novembre). Il regista romano ne fa un bell’esempio del proprio linguaggio spettacolare: con le vibranti musiche dal vivo di Gianfranco Tedeschi e Stefano Cogolo, e le proiezioni animate che dilatano la scena (firmata dallo stesso regista con Massimo Trancanetti) ben fuori dal teatro di via Nazionale, e la dinamica in continuo progress che dà un ritmo tutto particolare alla narrazione. Accanto e dentro a tutto questo, il personaggio del povero (e altrettanto simpatico e tenero) Gospodin ci rivela un autore ancora mai rappresentato in Italia, Philipp Löhle, che a soli 36 anni è invece in cartellone in tutti i grandi teatri tedeschi.

E attraverso il suo personaggio, l’autore ci illumina su molti aspetti dell’attuale «antropologia» tedesca, aiutandoci anche a capire alcuni dei molti motivi possibili per cui quel paese (con la sua signora Merkel al comando) è diventato un ossessivo e fastidioso termine di paragone per il nostro, vittima o rivale, virtuoso o fancazzista, svalutato o dissanguato dallo spread, dall’incultura, e dall’illusorio appeal commerciale del made in Italy.

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La Germania tranquilla e civile che scorre attorno al protagonista (o anche viceversa, perché è spesso lui a corrergli attorno sulla scena), sembra avere tutti i crismi della «normalità» tante volte auspicata da qualche leader anche per il nostro paese. E invece proprio quella normalità di convivenza è il bersaglio feroce di Löhle, da cui il suo Gospodin scappa a gambe levate, all’apparenza senza troppa consapevolezza in testa, ma come morso da una tarantola che trova la sua prima identificazione con la mentalità politically correct. È il primo degli «incidenti», o anche soprusi violenti, che lo colpiscono, e responsabile ne è addirittura Greenpeace. Sì, perché lui conviveva in casa con un lama, e l’organizzazione ambientalista gli sequestra l’animale andino, per portarlo per altro in un meno confortevole e affettuoso zoo…

Da qui parte la spirale degli eventi che vanno a costituire per Gospodin una catena di scacchi smaccati, quasi citando, con i debiti aggiornamenti, il protagonista sfigatissimo del romanzo di Hans Fallada, Tutto da rifare pover’uomo, se non lo Jedermann che ogni anno va in scena a Salisburgo. Non è estraneo del resto all’autore un certo gusto della citazione, come quella dal sapore brechtiano: «Sventurato il paese che ha bisogno della pubblicità del latte». E volendo, perfino Fassbinder, seppur in versione meno scollacciata, potrebbe rientrare nelle possibili ascendenze, con tutti i suoi ometti e le sue donnette sfortunati e travolti dagli avvenimenti.

Qui c’è un gusto più sorridente, e quindi anche divertente se non comico, o surreale: un amico senza neanche chiederglielo gli prende «in prestito» l’amplificatore, privandolo della consolazione della musica; un altro gli chiede di andare in sua vece a un funerale; un altro ancora gli porta via, sempre «in prestito», il televisore. Così come egoistico interesse mostrano per lui le donne che lo incrociano: la compagna, l’amica, la madre (tutte interpretate dalla bravissima Valentina Picello, cui basta cambiar colore d’abito per evocare altre umanità). Tanto che lui, quando casualmente si ritrova una valigia di danaro tra le mani, si rifiuta di farne profitto, e se la tiene in camera, come uno sterile e infruttuoso soprammobile. La sua estraneità a valori e trofei correnti è totale. Predilige la privazione come scelta «politica», la distanza come forma di rapporto.

Sempre di più, in forma quasi maniacale, anche se Claudio Santamaria dà al personaggio protagonista una naïveté divisa tra grida e smarrimenti, virata quasi su Oblomov. Mentre la storia sfocerebbe invece in un finale davvero surreale, con la scelta della prigione come ideale di vita, cosa da far inorridire qualsiasi organizzazione umanitaria, oltre che il semplice buonsenso.

Löhle non si tiene fuori dalle polemiche che attraversano gli intellettuali tedeschi, dai dubbi sul politically correct al sordo dissidio di chi accusa di tradimento figli e nipoti del ’68, per essersi garantiti tutte le posizioni dominanti nella stampa e nelle istituzioni culturali tedesche. Tutti nodi che nello spettacolo restano sullo sfondo, relegati a «confusa» vicenda esistenziale dalla bellezza folgorante delle immagini.