Mi è venuto spontaneo iniziare la recensione de Il Sogno di Alice. Creatività e suoni 1976-77 (ecommons, pp. 124, euro 16) di Felice Liperi sulle note di White Rabit dei Jefferson Airplane, brano di apertura della prima trasmissione di Radio Alice. Il saggio in questione ripercorre la nascita delle radio libere nel Belpaese – che diede il la alla più grande rivoluzione linguistica avvenuta nell’Italia del novecento.

La creatività rivoluzionaria del proletariato giovanile cavalcò l’onda scaturita dalla sentenza della Corte Costituzionale del 28 luglio 1976 – che toglieva il monopolio alla Rai consentendo la libertà di trasmissione anche ai privati – invadendo l’etere in un assalto al cielo consapevole che non c’è futuro.
Il saggio apre con la descrizione dell’arretratezza dei linguaggi e delle proposte – soprattutto in ambito musicale – della radio e della televisione di stato in Italia: paese – talmente bacchettone – che prima di questo decreto era stata capace di censurare, non solo i giovani cantautori – De Andrè e Guccini – che rivoluzionarono la canzone italiana, ma anche cantanti nazionalpopolari come Modugno.

L’autore prende giustamente le distanze dalla vulgata sinistronza che vede nella nascita della libera emittenza l’inizio – della propria fine – dell’egemonia culturale di craxismo e berlusconismo. Liperi riconosce la rivoluzione che modernizzò il paese innescata dal movimento del ’77, una potenza che accumulava forza grazie a un utilizzo altro del telefono, che permetteva un feedback tra speaker e ascoltatori e si avvaleva del microfono aperto. Per la prima volta gli ascoltatori non sottostavano al messaggio: erano il medium. Le forme di vita – attraverso comportamenti sociali autonomi e diffusi – occuparono la modulazione di frequenza strappando allo stato il monopolio della comunicazione, riappropriandosi della diretta fino a quel momento appannaggio delle sole messe natalizie e partite di calcio.

Allora, una generazione di non garantiti – che diede vita a un indecifrabile movimento – rivoluzionò i linguaggi attraverso la musica, la grafica, il fumetto liberando – per una breve stagione – l’infosfera (il futuro cyberspace).

Il Sogno di Alice è senza dubbio un buon libro che consiglio alle nuove generazioni per capire le origini di consumi culturali, stili e pratiche antagoniste che caratterizzano i movimenti di oggi. Non sono d’accordo con la visione dicotomica di Liperi – a mio avviso scivola nella solita buca – di un settantasette diviso in creativo vs violento. Quel movimento aveva – come l’idra – un unico corpo e molte teste.

I versi di Manfredi, Skiantos e Gaz Nevada raccontano, con ironia, la violenza delle strade di quei giorni. Lo stesso fece il fumetto. Basti ricordare una delle prime storie di Ranxerox – disegnato da Tamburini – con gli spari del protagonista sulla vecchietta – con in tasca «L’unità» – che ha venduto agli sbirri il padre – e suo costruttore – latitante. Dissento dall’autore quando definisce le ambientazioni metropolitane – pullulanti di drogati, teppisti e prostitute – del coatto sintetico come anticipatrici degli scenari di Gomorra. I lavori di Tamburini e Liberatore sono radicali, nello stile e nel pensiero. L’opera di Saviano no. In ultimo, non mi sarei aspettato che un critico musicale vedesse nella Banda Osiris – di dandiniana memoria – la continuazione dei mitici Skiantos. Concludo con le parole di Radio Alice durante l’insurrezione di marzo: «Tutti abbiamo fatto le molotov. Tutti abbiamo lanciato le molotov».