Affrontare la ristampa di un importante volume, a più di cinquant’anni dalla sua prima uscita, obbliga ad interrogarsi prima di tutto sulla figura dell’autore. Chi sia Sergio Bologna, alla maggior parte dei lettori di queste righe, è cosa nota. Nelle sue riflessioni ha raccontato con rigore intellettuale ma, non di meno, con acume quasi profetico, la complessità dei processi storico-sociali. Non ha solo interpretato il già dato, esercitandosi semmai sulla comprensione dell’orizzonte a venire. Anche per questa ragione il suo campo di ricerca ha strettamente interconnesso storia a sociologia così come storiografia ad un costante esercizio di ermeneutica della società contemporanea.

L’impegno costante è stato quello di rispondere ai tanti tentativi di vanificare dentro categorie revisionistiche o moralistiche (due facce della stessa medaglia) la comprensione dell’evoluzione e delle trasformazioni delle società contemporanee. Da ciò, quindi, gli deriva il suo profilo di intellettuale militante, estremamente disorganico rispetto a gruppi o corporazioni di potere ma senz’altro abituato a porsi nell’ottica di interrogarsi per capire cosa sia ciò che chiamiamo con il nome stesso di «potere» come parte di un processo reale.

TRE PASSAGGI sono ineludibili, ossia la direzione della collana «Materiali marxisti» per la Feltrinelli, la fondazione del periodico Primo maggio e la lunga collaborazione con Primo Moroni e la libreria Calusca di Milano. Una storia dei quadri intellettuali del secondo Novecento italiano non può non raccordare figure tra di loro anche molto diverse ma accomunate dall’afflato di cogliere il senso del mutamento in atto: a Sergio Bologna si legano, tra gli altri, i nomi di Raniero Panzieri, di Cesare Bermani, di Mario Miegge, di Giulio Maccacaro, di Karl Heinz Roth, di Enzo Collotti, di Michele Ranchetti, di Giovanni Cesareo e di molti altri ancora. Non di meno, per più aspetti rimane ineguagliato il suo lavoro su Nazismo e classe operaia, una sorta di riflessione ad ampio raggio, quasi etnometodologica, su quei fenomeni di tangenza collusiva tra il più spietato radicalismo di destra e le collettività dei lavoratori.

Il tributo in esergo non è per nulla un atto obbligato bensì uno strumento per inquadrare dentro un lucido disegno intellettuale le diverse traiettorie assunte da Sergio Bologna durate la sua oramai lunga militanza culturale. Dalla storia del movimento operaio all’analisi della composizione sociale e di classe, dalle vicende tedesche del Novecento alle trasformazioni del mondo del lavoro, dalla solidarietà cooperativa alla crisi della coesione sociale fino alla digitalizzazione delle relazioni interpersonali e alla riflessione sul lavoro autonomo, si dipana quindi un percorso che non può essere racchiuso sotto un unico indice.

LA RIPUBBLICAZIONE di un classico qual è La Chiesa confessante sotto il nazismo, 1933-1936 (Shake edizioni, pp. 316, euro 19,00) offre la possibilità di tornare a riflettere su temi e scritture che sono alla radice del lavoro di Bologna. Il primo indice con il quale valutare l’opera dell’autore, in origine una complessa e argomentata tesi di laurea del 1961 redatta a ventiquattro anni e pubblicata poi come volume a sé da Feltrinelli, è il rapporto tra consenso al nazismo e condotta dei culti maggioritari. Proprio perché all’epoca il tema spinosissimo non era ancora stato affrontato con dovizia di attenzioni da parte della storiografia, nel lavoro di Bologna emerge invece come ambito di riflessione imprescindibile. Piuttosto che declinarlo negli abituali, e inflazionati, termini della collusione dei credenti e delle istituzioni ecclesiali nei confronti del regime, la questione che nelle diverse pagine si evidenzia è semmai quella dell’intreccio tra processi di auto-legittimazione delle Chiese tedesche, radicamento nel tessuto nazionale e comprensione (così come, alternativamente, incomprensione) del nuovo passo dettato dall’ascesa al potere di Hitler.

LA TRAMA, IN QUESTO CASO, è decisamente più sottile di quella tradizionalmente polemica, che invece schiaccia da subito la questione dell’appartenenza religiosa, e delle strutture ierocratiche, sui percorsi di condivisione del potere. Poiché con il nazionalsocialismo è la natura stessa del potere a subire una profonda torsione, creando terreni non solo di concorrenzialità bensì di incompatibilità tra soggetti che, altrimenti, fino ad allora avevano condiviso la dialettica tra «spada e trono».

È allora anche in questo interstizio, che non si fa tuttavia definitiva frattura, che si alimentano le prime manifestazioni di opposizione. Il volume, peraltro, non va oltre il 1936, occupandosi quindi degli anni in cui ha corso il processo di «livellamento», ossia di omologazione, della società e delle istituzioni tedesche al nuovo regime.

Un secondo indice è la documentazione per parte di Bologna dello scarto di posizioni all’interno delle denominazioni nel momento in cui il nazismo inizia a chiedere non solo neutralità ma anche e soprattutto adesione al proprio verbo.
La nascita e l’evoluzione della Chiesa confessante (o professante), vero nucleo teologico nonché civile (e non ideologico come neanche politico) dell’opposizione all’hitlerismo, si inserisce all’interno di questo difficile percorso di rigetto dell’omologazione in corso. È soprattutto una risposta, oltre che di ordine etico, anche di natura pluralista, avendo ad obiettivo, tra gli altri, la preservazione del diritto ad essere «altro» e «altri» rispetto alla radicalizzazione che il nazionalsocialismo stava imprimendo un po’ ovunque, sotto il segno della distruzione di quelle residue articolazioni di pensiero e vita non riconducibili alla feroce pervasività del regime.

DA QUESTO PUNTO DI VISTA Sergio Bologna ricostruisce le diverse traiettorie dei culti organizzati, soprattutto in campo protestante. La Bekennende Kirche, pur non pensandosi come realtà alternativa al nazismo, è il prodotto non solo del pensiero di uomini come Karl Barth ma anche del tentativo comune di rielaborare in chiave non reazionaria le fratture del 1918, quando l’Impero guglielmino era tramontato repentinamente e, con esso, si erano seccamente ridimensionate le prerogative del protestantesimo istituzionale.

Il terzo prisma di lettura è lo sforzo per il mantenimento di un qualche grado di autonomia di alcuni culti, e con essi della religiosità, rispetto ad un regime che evocava a piè sospinto non solo il fideismo più esasperato ma il fanatismo come virtù dello spirito, incarnata dal movimento dei «cristiani tedeschi», fantasma dell’arianesimo più viscerale. Poiché, come sottolinea lo stesso autore, «non è difficile rintracciare elementi potenzialmente “religiosi” nell’ideologia nazista ed elementi potenzialmente “nazisti” nella tradizione protestante; il che giustifica ulteriormente lo stato di confusione in cui venne a trovarsi la chiesa evangelica all’avvento di Hitler». Seduzione e repressione, ammaliamento e coazione si inscrivono dentro un lungo periodo, di cui il nazismo è, al medesimo tempo, sintesi e frattura. Impossibile capire quindi le dinamiche in campo protestante se non se ne contestualizza e storicizza l’evoluzione. Esprimere, tanto più oggi, dopo decenni di studi in materia, semplicistiche condanne, insieme a banalizzanti assoluzioni, non è quindi plausibile.

L’AZIONE di implicita opposizione della Chiesa confessante si articolò attraverso una rilettura demistificante delle fonti teologiche, a partire dalla dogmatica. L’obiettivo, che negli anni successivi al consolidamento del nazismo e durante la guerra, si sarebbe definitivamente delineato, era quello di preservare una capacità di giudizio critico dinanzi alla catastrofe razzista nella quale il Terzo Reich aveva trascinato tutta l’Europa. Sergio Bologna, lavorando soprattutto sulla dimensione istituzionale del protestantesimo tedesco, pur a distanza di molti anni dalla prima pubblicazione del testo, continua ad offrire al lettore italiano una lezione non solo di merito ma anche di metodo sul come si tematizzi e si affronti un soggetto storico.