In che modo le religioni si riferiscono alla realtà nel loro linguaggio e nei loro simboli? Se osserviamo i molteplici fenomeni delle varie religioni, allora una delle domande a cui ci troviamo di fronte è come si riferiscono alla realtà e quale realtà incontriamo in esse. Gli esseri umani mettono in relazione se stessi e il loro mondo non solo con realtà empiriche finite, ma anche con Dio, una totalità o un’altra forma di trascendenza – a seconda di come questa viene concepita nella loro religione. A partire da lì definiscono la propria identità religiosa.

La pluralità delle identità di confessioni solleva la questione se la coscienza religiosa degli individui si riferisca alla realtà o se invece rappresenti prodotti della cultura umana sviluppati nel corso della storia per far fronte alla vita quotidiana. Se intendiamo la religione come un baluardo contro la contingenza, allora le religioni sono spesso interpretate come ordini eteronomici o teonomici, che sono immutabili e stabili in un mondo mutevole.

Ma allora quanto è reale l’orizzonte, che è mediato da una religione, per la vita e per l’agire umano, e anche per la propria auto-interpretazione della vita umana? Cosa c’è di reale in tutte le idee che vengono utilizzate nel processo di interpretazione religiosa della vita?

LA RELIGIONE NON CONCERNE la conoscenza, ma una forma specifica di interpretazione umana: l’interpretazione della realtà nell’orizzonte dell’infinito, del tutto, dell’eterno e del necessario. Queste quattro dimensioni trascendentali dell’idea dell’assoluto incondizionato soddisfano una funzione di dare senso. La religione impone senso alla realtà che viene vissuta come natura e storia.
Secondo Wittgenstein, il significato di un’espressione si costituisce attraverso le regole del suo uso in situazioni sociali concrete: se ci chiediamo il significato di un’espressione, dobbiamo quindi analizzarne l’uso in contesti concreti e culturali.
Il realismo ha una lunga storia, in cui la sua definizione e le concezioni opposte sono cambiate di volta in volta. Nel XX secolo, poi, è stato a seguito della «Filosofia del linguaggio ordinario» che il realismo è comparso di nuovo nell’agenda filosofica. Questo nuovo tipo di realismo deriva da problemi di filosofia del linguaggio.

QUI IL REALISMO generalmente sostiene che i nomi e i termini, che vengono usati in una teoria riguardo a un’area definita, si riferiscono a oggetti che esistono indipendentemente dal pensiero e dal discorso umano. Tale posizione generale si combina con le asserzioni che la verità è indipendente dalla giustificazione razionale; che esiste una rigida bivalenza – vero o falso – e che una teoria della verità come corrispondenza è possibile; e che la semantica delle nostre frasi deve essere concepita come conseguenza delle condizioni di verità oggettive.

SE COLLEGHIAMO queste considerazioni generali a «Dio», allora diventa concepibile che la parola «Dio» esprima una referenza che non è identica alla rispettiva coscienza umana di Dio e che non si riferisca soltanto a tale coscienza.
È impossibile entrare nei dettagli dell’ampia discussione filosofica sull’argomento. Si può solo accennare all’idea che non ci sono molte giustificazioni per l’assunto che il mondo reale stesso ci dà il modo in cui deve essere ordinato in oggetti, situazioni, proprietà, ecc. Questo punto è stato evidenziato nell’antirealismo. Se il mondo reale non ci dice come dovrebbe essere ordinato nel linguaggio, allora i significati possono essere costituiti solo dal modo in cui sono formati, e la verità di una proposizione può quindi essere giustificata soltanto all’interno di un linguaggio. La verità, perciò, non può consistere in una corrispondenza a una presunta realtà, è piuttosto «un’idealizzazione dell’accettabilità razionale» nel contesto di un linguaggio che viene usato in un discorso specifico.
Se seguiamo questa concezione, allora la realtà di Dio può «essere vista solo a partire dalla tradizione religiosa in cui il concetto di Dio è utilizzato». L’uso del linguaggio religioso è la forma di vita in cui il discorso della realtà di Dio deve essere collocato. Anche quella tra reale e irreale è una distinzione che facciamo nel nostro linguaggio, ma come si distingue esattamente tra ciò che è reale e ciò che non lo è si chiarisce nell’uso concreto del linguaggio.

QUESTO VALE ANCHE per il discorso religioso sulla realtà: nelle espressioni verbali della fede cristiana si esprime una specifica visione della realtà. Il discorso cristiano su Dio può essere caratterizzato attraverso l’idea che la sua realtà non possa essere pienamente conosciuta e asserita. La conoscenza e il linguaggio umani non possono comprendere appieno la realtà di Dio e perciò tale realtà sfida ogni volta gli esseri umani a nuove conoscenze, pensieri e parole. Il Dio uno e trino, che è rivelato attraverso e nel linguaggio, deve quindi essere concepito in questo senso come reale, così come viene affermato nel linguaggio della fede cristiana, quello delle Sacre Scritture, e che viene usato dalla e nella chiesa cristiana. Se i credenti cristiani parlano della realtà di Dio, non affermano un essere di Dio isolato; sono piuttosto la sua presenza nella storia e nelle relazioni a essere affermate. Fare riferimento a questa realtà di Dio non sarebbe possibile senza il linguaggio che la esprime.
La pretesa della fede cristiana è proprio quella di riferirsi a questa realtà del Dio uno e trino, di definire l’identità cristiana in riferimento a essa e di orientare gli esseri umani con questo riferimento nel mondo.

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(la traduzione del testo è di Francesco Giusti)

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SCHEDA

Da domenica, una serie di incontri sul tema «Rafforzare l’individuo, nutrire la comunità»

Da domenica 3 fino a giovedì 7 marzo si svolgeranno a Bologna le giornate internazionali della European Academy of Religion, organizzate dalla Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII (Fscire). Nelle diverse sedi del convegno, disseminate per la città, si discuterà di spazi del religioso, di diritti, teologie a confronto, ruoli e storie. L’appuntamento giornaliero delle lezioni magistrali, invece, esplorerà il tema del rapporto tra individualità e comunità, che contraddistingue oggi il dibattito politologico, sociologico e intellettuale delle diverse tradizioni di fede. Fra i relatori, Nicola Colaianni (Corte di Cassazione / Università di Bari) nella Sala degli Specchi, Palazzo Isolani, il 4 marzo presenterà un panel dal titolo «De-radicalizing and Preventing Religiously Insprired Terrorism. Results». Incentrato sul master organizzato dal dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Bari, intende riportare i risultati del primo anno di lavoro su prevenzione del terrorismo di origine religiosa. La filosofia della religione rappresenterà una delle principali chiavi di lettura attraverso le quali in Europa si riflette sul significato della religione e si discutono le domande della vita. Fra i partecipanti, Sami Pihlström (Helsinki); Tomas Bokedal (Aberdeen); Katharina Eberlein-Braun (Bamberg); Heikki J. Koskinen (Academy of Finland); Hans-Peter Grosshans (Wwu Münster); Andrea Vestrucci (Berkeley); Ryan Haecker (Cambridge); Branden Thornhill-Miller (Oxford); Alexandra Berdnikova (Russian Academy of Sciences); Alvaro Gómez Sánchez (Madrid); Brandon Watson (Heidelberg) Michael Borowski (Bielefeld).