Domenica scorsa, proprio nell’ultimo giorno del loro congresso, i delegati del Parti de Gauche (PdG) francese hanno approvato un documento che segna l’abbandono ufficiale del Partito della Sinistra Europea (Se). Il PdG, fondato alla fine del 2008 e dal dicembre 2010 membro della Se, è la formazione di cui è leader indiscusso Jean-Luc Mélenchon e da cui è nato il processo che ha portato alla sua candidatura alle Presidenziali 2017 e alla nascita di France Insoumise.

OGGI LA ROTTURA con la Se è motivata dall’appartenenza a quest’ultima di Syriza. Nel marzo scorso infatti il PdG aveva ufficialmente chiesto al Comitato esecutivo della Se l’allontanamento del partito della sinistra greca, giustificandolo con la severa condanna delle politiche seguite dal governo Tsipras a partire dalla sottoscrizione del Memorandum nel luglio 2015. All’unanimità i diversi partiti della Se avevano rigettato questa richiesta e, nell’occasione, il presidente Gregor Gysi aveva ricordato come nella Sinistra Europea «ogni critica sia possibile, ma non si caccia nessuno», aggiungendo poi come sia «facile criticare dall’esterno quando non si hanno responsabilità di governo e in mano i destini di un intero popolo».

«A un anno dalle elezioni europee – scrive invece il partito di Melenchon nella sua ultima dichiarazione – non è più possibile unire nello stesso partito europeo gli oppositori e gli artigiani dell’austerità». E, secondo il PdG, «Syriza è diventata la rappresentante della linea di austerità in Grecia» quando «il periodo invita più che mai a chiarire le proprie posizioni di fronte alla politica di austerità dell Ue».
Nonostante l’alleanza di Melenchon in Grecia con la discussa ex presidente del Parlamento Zoe Kostantopoulou, oggi nemica giurata di Tsipras, appare evidente come, in questa scelta, non sia in gioco solo il dissenso con le scelte di politica economica del governo di Syriza, peraltro chiare da almeno tre anni a questa parte.

VI SONO RAGIONI che parlano alla sinistra francese, là dove il Pcf di Pierre Laurent punta alla costruzione di una più ampia alleanza anti-Macron, critica nei confronti delle politiche dominanti nella Ue ma tutt’altro che sovranista, con il coinvolgimento di forze quali Génération-S di Benoît Hamon e parte degli Ecologisti, anche in rapporto con DiEm25 di Varoufakis e Marsili.
E per Melenchon potrebbe contare molto anche l’obiettivo di spaccare, su scala internazionale, la Sinistra Europea nel suo insieme, giocando innanzitutto sulla minoranza «nazionalista di sinistra» di Oskar Lafontaine e Sahra Wagenknecht all’interno della Linke tedesca e sull’utilizzo in questa chiave della «Dichiarazione di Lisbona», lanciata il 12 aprile scorso, insieme agli spagnoli di Podemos e ai portoghesi del Bloco de Esquerda, che della Se sono tra i membri più attivi. Finora a questa proposta si sono formalmente associate solo alcune formazioni della sinistra «euro-scettica» scandinava e il testo della dichiarazione è sufficientemente ambiguo da lasciare spazio alle più diverse interpretazioni.

Podemos, ad esempio e per citare l’esperienza di maggior peso, sta lavorano per le Europee del 2019 alla costruzione di una larga e unica confluenza con le piattaforme municipaliste, con forze politiche ecologiste (Equo e Icv) e con quelle che appartengono alla Se come Izquierda Unida. Ma in Spagna, per la coincidenza con il rinnovo delle amministrazioni locali, il voto per il parlamento di Bruxelles avrà soprattutto la valenza di una conta nazionale, anche per comprendere se l’attuale governo Sanchez si potrà evolvere in una più ampia e avanzata maggioranza progressista.

IN ULTIMA ANALISI, perciò, la decisione di Mélenchon rinvia a un irrisolto nodo politico: l’abbandono della Sinistra Europea da parte del PdG è l’ultimo atto di una vicenda iniziata con i vertici del cosiddetto «PlanB» e fortemente radicata nella cultura politica «sovranista» del leader francese. Le sue posizioni interrogano non solo il partito della Se, ma l’intera sinistra in Europa, nel senso più lato del termine. Per tutti si tratta di costruire una risposta politica strategica alla drammatica situazione attuale, capace di pesare come reale «terza opzione», rompendo la morsa sempre più stretta tra difesa dello status quo dominante e aggressiva avanzata di vecchie e nuove destre, nazionaliste e xenofobe.

CONSIDERATO che queste ultime si stanno rivelando nient’affatto incompatibili con il paradigma neoliberale, diventa urgente decidere se la prospettiva sia inseguirle «da sinistra» sulla strada dell’improbabile ritorno alle «sovranità nazionali», con il carico di chiusure ed esclusioni che ciò comporta, o rilanciare una prospettiva transnazionale di radicale critica e trasformazione democratica dell’Unione in un rinnovato spazio sociale e politico europeo.