Nei paesaggi delle arti sceniche pugliesi, fiori ne sono sbocciati molti in questi ultimi anni, tanto da conferire la qualifica di felix all’intera regione – come fu per la Romagna un paio di decenni fa. E a Taranto se ne stanno apprezzando di preziosi, non solo per la sua condizione di marginalità geografica, ma ancora di più per la devastazione di un territorio assoggettato alle peggiori gestioni industriali italiane. Proprio nel quartiere di Tamburi, quello più rosso di polveri dell’Ilva, è sorto il Teatro Tatà, per l’impegno di Crest, storica compagnia di ricerca, che appunto con la creazione del sistema culturale pugliese, operato dalla giunta Vendola, lì ha trovato la sua casa.

Ristrutturando l’edificio di proprietà della Provincia (disinteressata alla manutenzione dell’immobile) e con il desiderio di entrare nel tessuto sociale di questo rione operaio e lenirne le ferite quotidiane, placarne il dolore delle tante morti di cancro. Un lavoro difficile, basato sulla tenacia trentennale di Clara Cottino, presidente e fondatrice di Crest, che per gli ultimi progetti ha chiamato alla direzione artistica Gaetano Colella, giovane autore-attore, in questi giorni anche alla guida di Startup.

Nella Città dei due mari si sta svolgendo una delle iniziative più interessanti dedicata ai linguaggi della scena contemporanea che, nella pur variegata architettura culturale della Puglia, assume ora un valore emblematico. A pochi giorni dalla conclusione dell’ultima tranche del progetto «Teatri abitati» questo piccolo festival diventa occasione per riflettere intorno all’intera vicenda delle residenze teatrali regionali, in scadenza, appunto, il 30 settembre, lasciando compagnie e artisti a operare nei diversi territori senza alcuna protezione economica da parte della Regione.

Certo tutto era previsto dai bandi per i fondi europei Fers – però forse poco si è fatto per traghettare progetti così delicati oltre la straordinarietà di queste risorse. Risorse per altro rinnovate dall’Ue – per il quinquennio 2015-2020 – con un disciplinare più «severo» e inadeguato per le realtà italiane (a cominciare dalle stesse istituzioni che dovranno aggiornare i propri regolamenti prima di attingere a quelle fonti). Una situazione complessa a livello nazionale e, in Puglia, complicata dalle imminenti elezioni amministrative, il cui nome più quotato per la poltrona di presidente della Regione, Michele Emiliano, mette in fibrillazione l’intera comunità teatrale. Ciò che artisti e operatori temono è l’azzeramento delle esperienze maturate in questi pochi anni, con la nascita di relazioni tra organismi in residenza.

E in questo senso Startup è davvero espressione di una condivisione progettuale, sia sul piano delle scelte di linguaggio, sia sulle modalità di coinvolgimento e fidelizzazione dei propri pubblici. Infatti, se il cuore pulsante resta il Tatà, non è casuale il dislocamento degli incontri e delle attività di spettacolo in diversi siti della Città vecchia, a ribadire la volontà di vivere insieme il territorio. Così, mentre Ippolito Chiarello allestisce il suo «scherzo teatrale» a Palazzo Pantaleo, con sax e contrabbasso dal vivo per denunciare la normalizzazione della violenza nella società televisiva, Gaetano Colella, al Tatà, va tra gli operai dell’Ilva col suo «Capatosta» e ne racconta le tragiche vicende con Andrea Simonetti, diretti da Enrico Messina all’interno di una scenografia metallica ideata da Massimo Staich.

Accanto alle creazioni regionali, la rassegna è occasione per ospitare eccellenti esempi nazionali. Stasera, oltre al pugliese Roberto Corradino con L’osso duro, arrivano I giganti della montagna di Roberto Latini, in scena con Federica Fracassi, e i Teatri Uniti che ripropongono, con la visione di Salvatore Cantalupo, il Titanic the end allestito da Antonio Neiwiller nel 1984, nel ventennale della sua morte. L’ospitalità e l’apertura dei propri spazi è il modus operandi di ResExtensa nell’abbandonato Istituto Vittorio Emanuele II di Giovinazzo. Diretta da Elisa Barucchieri e unica compagnia di danza in residenza in Puglia, chiede anch’essa un bando ponte che possa garantire la sopravvivenza di un sistema fuori dagli esiti elettorali. Si farà? La volontà c’è – afferma Franco D’Ippolito, capo della cabina di regia in Regione – ma… siamo in Italia!