Dopo la magnifica trilogia sulla Cina di Li Kunwu, Add editore propone una nuova graphic novel. Questa volta il tema è la Thailandia e la storia raccontata attraversa le vicende del paese attraverso la vita di un anziano venditore di biglietti della lotteria cieco. Con grazia e acume il libro apre uno squarcio – colmo di chiaroscuri – sulle vicende di un paese poco conosciuto in Italia. Abbiamo intervistato i tre autori, Claudio Sopranzetti, Sara Fabbri e Chiara Natalucci.

Come si è creata la collaborazione tra gli autori?
L’idea del libro è emersa nel 2014 mentre Claudio era in Thailandia e ha assistito a un colpo di stato militare. Nei mesi successivi, il governo militare ha cominciato a cancellare dalla memoria storica del paese le storie delle persone che avevano dato vita ai movimenti di protesta che Claudio studiava. L’idea di recuperare quelle storie e raccontarle sotto forma di graphic novel è arrivata durante una chiacchierata con Chiara, che in quel momento lavorava nell’editoria a Londra. Dopo poco tempo siamo arrivati a Sara tramite un’amica in comune. Grazie a un fondo dell’Università di Oxford, abbiamo passato un periodo in Thailandia tutti e tre insieme: durante quella residenza quelli che fino ad allora erano stati spunti narrativi di Claudio sono diventati il prodotto di scelte prese collettivamente.

Quali sono state le scelte chiave per la costruzione di 50 anni di storia tailandese?
Cercare di raccontare 50 anni di storia in 200 pagine di fumetto è un’impresa titanica, condannata a essere imperfetta. Per decidere cosa inserire e cosa lasciare fuori abbiamo costruito una linea del tempo, un foglio di carta lungo 2 metri, rimasto appeso sopra alle nostre scrivanie fino alla conclusione del libro. Per ricostruire la storia del paese ci siamo basati sul lavoro di storici thailandesi, mentre le vicende personali dei nostri personaggi si basano sulle interviste fatte da Claudio negli ultimi dieci anni. L’aspetto che più ci interessava era far vedere era come la Storia con la S maiuscola, quella dei cambiamenti epocali, dei governanti e dei re, si intreccia con la storia quotidiana di migranti e lavoratori, delle loro famiglie e dei loro villaggi.

Nok, il protagonista è la composizione di più personaggi, come lo avete creato?
Il fumetto ruota intorno a Nok, un anziano venditore di biglietti della lotteria cieco, e a dei flashback che raccontano il suo passato e quello del paese. Nok anziano si basa su una persona reale che Claudio conosce da anni. Il Nok giovane è il risultato di un collage di identità con un simile vissuto personale e politico, accomunate dalle stesse difficoltà e dagli stessi desideri. La decisione di comporre tutte queste persone in un unico personaggio è stata presa con la volontà di raccontare l’intersezione tra il personale e il politico, e di preservare l’anonimato degli intervistati.

Perché avete affidato a lui così tante sfaccettature, invece di condividere lo stesso approccio con anche gli altri personaggi (ad esempio la moglie Gai o l’amico Hong?)
Da una parte volevamo raccontare la storia di una persona comune, incentrando la narrazione su un unico personaggio. Dall’altra, volevamo che questo personaggio fosse un veicolo con cui raccontare la storia della Thailandia. Nel tentativo di tenere uniti questi obiettivi, Nok è emerso organicamente come il personaggio fondamentale. La struttura narrativa è diventata così quasi favolistica, incentrata su un «eroe», che poi è tutto meno che un eroe, e su altri personaggi secondari, la cui funzione non è quella di piatti comprimari, ma piuttosto di perni attorno cui ruota la crescita di Nok. Di fronte a un personaggio in evoluzione avevamo bisogno di elementi solidi su cui farlo appoggiare: l’ironia di Gai è diventata un meccanismo per far uscire l’inettitudine e la semplicità di Nok, mentre la sfacciataggine e le rivendicazioni di Hong sono servite a delineare l’aspetto più riflessivo e pacato del protagonista.

Ci potete parlare dello studio che c’è stato dietro nei periodo della vostra residenza a Bangkok per la raccolta del materiale?
Il periodo di residenza a Bangkok è stato organizzato intorno a tre tipi di ricerca. Come prima cosa abbiamo condotto un lavoro di sopralluoghi. Partendo da Bangkok, ci siamo spostati nel nordest della Thailandia per visitare dei villaggi di campagna, e infine a Koh Pha-ngan, un’isola del sud. Il nostro scopo era esporci il più possibile a immagini, colori, forme, sensazioni e atmosfere thailandesi, e selezionare i luoghi specifici in cui la storia si sarebbe svolta, creando un primo archivio fotografico e illustrativo. La seconda componente è stata antropologica. Abbiamo passato molto tempo a stretto contatto con le persone le cui storie volevamo raccontare. Così abbiamo passato giornate intere con alcuni motortaxi a Bangkok, una settimana nella casa in campagna di uno di loro, e un periodo nell’isola alla ricerca delle baracche dei lavoratori, i loro bar e i loro luoghi di riposo. In questa fase Claudio conduceva le interviste e le traduceva a Chiara e Sara, mentre loro archiviavano il materiale, fatto di schizzi, diari di viaggio, foto e video. È stato particolarmente importante passare del tempo con alcuni ambulanti ciechi a Bangkok per capire come si muovessero in città, come vivessero lo spazio urbano, e quali fossero le loro difficoltà. Questo tipo di ricerca richiedeva anche che noi ci esponessimo, almeno un minimo, a quell’esperienza. Abbiamo deciso di percorrere il percorso che Nok fa nel fumetto da bendati, archiviando le nostre sensazioni sui vari luoghi. Infine, se questi primi due lavori ci hanno aiutato a collezionare materiali sul presente e sulle storie dei nostri personaggi, il terzo focus è stato invece su materiali storici, attraverso un lavoro più propriamente di archivio, per cercare di ricostruire come la Thailandia fosse cambiata visivamente nel tempo. Qui, attraverso archivi personali, film e foto abbiamo generato un nostro archivio di immagini della Thailandia dal 1975 al presente, organizzandole per anno, in modo che nella fase di disegno potessimo essere sicuri dell’autenticità delle nostre rappresentazioni.

Che difficoltà avete riscontrato e come le avete gestite eventualmente nel raccontare una storia di un paese asiatico poco conosciuto se non come meta turistica almeno in Italia?
Il nostro obiettivo è stato quello di trovare un punto di equilibrio: dal punto di vista narrativo volevamo raccontare la storia di un paese poco conosciuto, o spesso conosciuto in maniera superficiale, abbiamo così provato a incentrare l’attenzione sui dialoghi, a inserire i mezzi di comunicazione (giornali, radio, televisione) come voce narrante degli eventi e a focalizzarci in profondità su un personaggio. Dal punto di vista grafico la difficoltà principale è stata ricreare atmosfere e immagini locali, senza ricorrere a stereotipi orientalisti che associano la Thailandia esclusivamente al misticismo, il buddismo o la natura, rimarcando la distanza tra «noi» e «loro». Infine, dal punto di vista linguistico il rischio era quello opposto all’orientalismo, cioè rendere la lingua troppo familiare e «italiana», cancellando così alcune peculiarità linguistiche del thailandese.