Tira fuori un facsimile della scheda elettorale come se l’immagina con l’Italicum «una legge elettorale molto seria, molto tranquilla, molto semplice». Sulla scheda che Matteo Renzi sventola a un certo punto della conferenza stampa di fine d’anno, ci sono sei nomi e sei simboli. «Il candidato del collegio è chiaramente riconoscibile, e c’è lo spazio per mettere due preferenze, un uomo e una donna». La paragona al Mattarellum, la legge in vigore dal 1993 al 2005, che qualche volta ha detto di apprezzare ma alla quale, come garante del patto del Nazareno, non è voluto tornare. Ecco cos’è l’Italicum che «il senato ragionevolmente approverà entro gennaio» secondo Renzi: «Un Mattarellum con in più le preferenze». La somma di due virtù? Il presidente del Consiglio ne è convinto: «Mai vista una legge così rispettosa della sentenza anti Porcellum. Non abbiamo nessun tipo di preoccupazione rispetto alla sua costituzionalità». Questo a parole. Quanto ai fatti, Renzi preferisce tenere ben lontana la Corte Costituzionale dall’Italicum.

Conferma infatti il no del governo agli emendamenti alla riforma costituzionale che chiedono proprio questo: allargare all’Italicum la possibilità del ricorso immediato alla Consulta. Eppure la chance per una minoranza di parlamentari di appellarsi alla Consulta sui sistemi di voto è una novità che ha voluto l’esecutivo, per evitare i guasti del Porcellum, dichiarato incostituzionale dopo che aveva fatto eleggere tre parlamenti. Una novità che secondo Renzi, malgrado l’esibita certezza che si tratti di una legge in regola con la Costituzione, non deve valere per l’Italicum. «Se entra in vigore la riforma costituzionale prima e la legge elettorale dopo, è del tutto evidente che la legge elettorale va alla corte. Se è il contrario non si può fare una legge retroattiva o un pasticcio costituzionale», risponde in conferenza stampa. Ma la prima eventualità è irrealistica: la riforma costituzionale deve passare attraverso la pausa di riflessione delle camere e il referendum, sarà sicuramente approvata dopo l’Italicum. La seconda è semplicemente non vera, perché la legge di revisione costituzionale contiene molte disposizioni transitorie, com’è ovvio che sia trattandosi della riscrittura di quasi un terzo della carta fondamentale. Tra queste gli emendamenti della minoranza Pd ma anche di Sel e 5 stelle consentirebbero a un quinto dei deputati o senatori di chiamare in causa la Consulta sulla legge elettorale, prima che la si debba applicare. Nessuna legge retroattiva, nessun pasticcio.

Aggiunge Renzi che di fronte alla Consulta l’Italicum potrà andarci comunque. «Come sapete le forme per portare la legge elettorale di fronte alla Corte costituzionale sono numerose, plurime e ben diverse, noi non abbiamo preoccupazioni». L’allusione e alla porta aperta dalla sentenza che ha abbattuto il Porcellum, quando è stato consentito un ricorso quasi diretto da parte dei cittadini. Ma il punto è che proprio la clausola che il presidente del Consiglio concederà ai suoi avversari per spianare la strada all’Italicum – quella cioè che rimanda l’entrata in vigore della legge a fine 2016 – può bloccare la strada ai ricorsi. Spiega infatti l’avvocato Felice Besostri, il vincitore della battaglia contro l’Italicum, che la possibilità di un provvedimento d’urgenza in un tribunale ordinario (punto di partenza per porre la questione di incostituzionalità) è impedita dal fatto che la legge è sospesa: «Serve infatti che i cittadini possano denunciare un danno irreparabile ai loro diritti, e in questo caso ci siamo, ma anche imminente, e se la legge non è entrata in vigore questo non c’è». Con la citazione ordinaria e i tempi lunghi del processo civile è già chiaro che si andrà oltre il 2016; anche la costituzionalità dell’Italicum rischia di essere valutata a elezioni fatte.

Del Porcellum la Corte costituzionale ha criticato le lunghe liste bloccate, perché escludevano la libertà di scelta e impedivano all’elettore di conoscere e valutare l’eletto. L’Italicum mantiene le liste lunghe, bloccate solo per il capolista. La novità è la possibilità di esprimere una o due preferenze, ma solo a partire dal secondo in lista. All’atto pratico solo il primo partito (che guadagnerà il premio di maggioranza) può essere certo di eleggere i candidati scelti con le preferenze, gli altri dovranno rinunciarci o affidarsi alle opzioni dei capolista pluricandiati. Anche le pluricandidature sono state bocciate dalla Consulta, ma Renzi le ripropone prevedendo la possibilità che un capolista si candidi in dieci circoscrizioni diverse. Le circoscrizioni sono in tutto cento, e allora è in teoria possibile per un partito affidare a dieci capi bastone la selezione ex post di quasi tutta la delegazione parlamentare. In più diversi costituzionalisti hanno fatto notare l’illegittimità del doppio regime tra candidati: quelli che devono guadagnarsi le preferenze e quelli garantiti. Insomma: ricorsi assicurati, problemi annunciati. Renzi scrolla le spalle: «Le pluricandidature sono una caratteristica che va avanti da circa settant’anni nella storia italiana e che ha visto eleggere così Moro, Berlinguer e Nenni». Pluri-candidati, però, al massimo in tre collegi. E soprattutto eletti anche loro con le preferenze. Altra storia.