Sembra una fiaba la storia che ci racconta Maria Silvia Bazzoli nel suo La voce di Ajla per Forum Editrice (pp. 192, euro 16,50: il libro sarà presentato domani, nella giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, dalle 18, sulla piattaforma Teams). Almeno fino a un certo punto. Ci assomiglia per lo stile di scrittura, piano, didascalico, che procede con grande precisione nei vari passaggi narrativi. Anche per i personaggi che incontriamo nei ricordi che la protagonista Alina ha della sua infanzia: danzatori, suonatori, matrigne che richiamano alla mente Crudelia Demon e un padre putativo proprietario di un luogo simbolo dell’immaginario parigino: un banco di libri usati, una bouquinerie, sulla Senna.

POI, INEVITABILMENTE compare l’orco. A vederlo però sono solo i lettori e Ajla, la madre di Alina. I suoi ricordi imprigionati da anni, compressi e furiosi perché lei cerca di ricacciarli, lo riportano alla luce. Nessuno può sentirli perché Ajla, dopo aver incontrato l’orrore, ha smesso di parlare. A un certo punto, però, dopo essere riuscita a garantire a sua figlia Alina un futuro pieno di opportunità e sereno, anche grazie ai personaggi aiutanti di cui sopra, il suo silenzio esplode. La immobilizza in stato catatonico in un letto d’ospedale, la lascia in balia degli incubi la notte, delle allucinazioni, dei frammenti di un’esistenza distrutta dall’orrore della guerra.

LE LETTRICI E I LETTORI scoprono insieme a sua figlia, che rientra da New York alla notizia che la madre è stata ricoverata, che Ajla è bosniaca. Però, mentre Alina dovrà ricucire tassello per tassello i pochissimi indizi che sua madre ha lasciato e scoprire le sue origini e almeno una parte della sua storia, chi legge e ha accesso ai ricordi di Ajla entra nel vivo dell’orrore del conflitto nei Balcani.

Ajla frequentava l’ultimo anno del liceo quando la sua famiglia è stata trucidata: sua madre, suo padre e suo fratello sono stati uccisi mentre lei si era allontanata da casa per andare a prendere delle uova. Nel tentativo di fuggire, dopo aver seppellito la sua famiglia, Ajla incappa nei suoi aguzzini.

Maria Silvia Bazzoli con una lucidità e una chiarezza proprie dei cantastorie racconta di come la ragazza dopo essere stata violentata e seviziata sia riuscita ad attraversare l’Europa, finendo in un campo profughi, dove ha dato alla luce Alina.

IL RESTO È FAVOLA, quella che Ajla è riuscita, nonostante la povertà e una vita stentata, a far immaginare a sua figlia. Il prezzo di questa infanzia felice, cullata dalla bellezza di Parigi e dagli amici artisti di strada, è stato il silenzio.

SE AJLA AVESSE in effetti pronunciato una sola parola, le schegge della sua storia avrebbero intaccato la vita di sua figlia. Lo avrebbero fatto in un modo inconcepibile, perché non è dato conoscere le conseguenze di sapersi frutto di uno stupro. Le parole del suo passato avrebbero interferito nel suo progetto di proteggere Alina, di permetterle di diventare un’artista del ricamo.
Neanche una nota di dolore però è mai riuscita a varcare il muro che Ajla ha costruito tra sé, sua figlia e quell’inferno.