Nel giro di poche settimane sono usciti due documentari che con un approccio schietto e diretto cercano di restituirci un ritratto della musica indipendente in Italia, di quell’underground che cerca di diventare grande a suon di concerti e chilometri percorsi. Si tratta di due piccole produzioni, anch’esse indipendenti, realizzate sfruttando al meglio i pochi mezzi a disposizione – ed in questo del tutto coerenti con quel sottobosco musicale raccontato «dal basso», con cui condividono autenticità e passione.

I due film sono tra loro complementari per come raccontano le vicissitudini di bands e musicisti. Conquiste, opera collettiva di quattro giovani autori (Diego Zicchetti, Enrico Guidi, Francesca Magnoni e Matteo Munaretto), parte dal microcosmo della Romagna, descrivendo la «scena» di un territorio che ben rappresenta le dinamiche che caratterizzano l’ambiente musicale in ogni provincia italiana. Semitoni: non è un intervallo si concentra invece su tre gruppi differenti per genere e area geografica di provenienza, ma molto simili nell’approccio. I due registi Michele Ricchetti e Shapor Ebrahimi hanno deciso di seguire alcune realtà musicali ritenute dei validi esempi, senza voler dare una visione complessiva del mercato della musica ma focalizzandosi sul punto di vista di Fuzz Orchestra, His Clancyness e Eels on Heels.

In Conquiste si viaggia lungo tutta la «costa est» dove, nei piccoli paesini dell’entroterra o nelle località affollate di discoteche della Riviera, suonare diventa il modo per creare qualcosa di unico e bello. Sono molte le comparse musicali nel film, dai Wolther goes stranger al cantautore Havah, dai Fast Animals and Slow Kids a Brace, autore di canzoni coinvolgenti e surreali, ma anche fondatore dell’etichetta Tafuzzi e animatore di un piccolo festival ormai divenuto culto. Ci sono soprattutto i Cosmetic, di cui seguiamo le vicende fin dagli esordi: è la storia di una band formatasi tra i corridoi di scuola, di adolescenti ora adulti che con costanza e dedizione sono riusciti ad arrivare sui più importanti palchi italiani. Ora fanno parte della Tempesta, etichetta indie tra le più conosciute (creatura dei Tre Allegri Ragazzi Morti, anch’essi presenti nel doc), esperimento certo da apprezzare: un collettivo di artisti che si autogestiscono, in collaborazione continua tra di loro e che cura in modo maniacale ogni singola uscita. Un’attenzione totale, soprattutto, alle esigenze dei musicisti. E questo è un fenomeno che in Italia sta diventando ormai rilevante: i musicisti che per sbarcare il lunario imparano a occuparsi di ogni aspetto del fare musica, dall’organizzazione di tour, alla comunicazione, alla promozione.

È possibile dunque vivere di musica? Dipende. Semitoni cerca di ottenere qualche risposta da alcuni tra i gruppi più interessanti oggi in Italia. I giovanissimi Eels on Heels, che dalla piccola Trani diventano un gruppo sempre più apprezzato oltre confine per il loro intenso electronoise, con passaggi a Bbc Radio e un produttore internazionale come James Aparicio, collaboratore dei Liars. Eppure i tre sono precari, come molti coetanei costretti a fare diversi lavori e che alla musica dedicano i ritagli di tempo. Jonathan Clancy, in arte His Clancyness , da anni propone un folk-rock originale che lo ha portato a suonare in tutto il mondo. E per quanto la musica sia centrale, è sempre stata affiancata dalla necessità di altro, per cui Jonathan si è dedicato per anni al lavoro in radio a Bologna, oltre che all’organizzazione del festival Handmade di Guastalla, un piccolo gioiello.

I Fuzz Orchestra sono invece uno dei gruppi più che in Italia macina più chilometri, arrivando a suonare dappertutto. Si tratta di una band che propone un heavy rock duro e coltissimo, zeppo di citazioni da film degli anni ’60 e ’70. Suonare a cachet basso (perché altrimenti non c’è spazio) si può, ma implica fare numerosissime date, guidare per ore ogni giorno, esibirsi e ripartire. Più si suona, più diventa possibile pagare le bollette e arrivare alla fine del mese. Anche queste sono conquiste.