Quanto e come l’economia europea e nazionale ripartirà è una questione che pone molte domande. In particolare gli aspetti (1) macroeconomici che richiamano le due facce della medaglia, cioè una domanda e una offerta adeguata al fine di pregiudicare la rec-inflazione (Pizzuti); (2) la catena del valore internazionale entrata in crisi con Covid 19; (3) la struttura-capitale che necessita di misure capaci di anticipare il nuovo paradigma e sostenere il capitale che sarà ancora necessario. Affiancate a queste iniziative, dobbiamo considerare la qualità della vita e della società, financo gli strascichi psicologici.

L’ampiezza tecno-scientifica della Task Force per la fase 2 (12 aprile), guidata da V. Colao, rappresenta solo in parte la complessità dei fenomeni socio-psico-economici che attendono il paese.

Sorprende l’eccesso di economisti stranieri e il ruolo degli esperti italiani che si occupano di diritto, statistica, società e psicologia. Sebbene la morfologia degli esperti sia abbastanza ampia, stupisce l’assenza di esperti di economia pubblica e di partecipate pubbliche. Non è un buon segnale, e si affianca all’assenza di esperti del territorio, estremamente utile per guidare la fase 2.

In qualche misura è sottovalutata la sfida: la fase2 non delineerà un progressivo ritorno al passato, piuttosto un paradigma che modificherà molte delle certezze acquisite in ordine alla concorrenza, al mercato del lavoro, all’incertezza (economica), al peso e al ruolo dell’economia pubblica, con inevitabili effetti sul disegno (presupposti) del prelievo fiscale, caduto in disgrazia ancor prima del Covid 19.

Gli interessi particolari, infatti, dovranno abdicare al ruolo di governo dei fenomeni economici, lasciando ad altre istituzioni il governo della grande trasformazione. L’auspicio è che questi interessi particolari comprendano che il tanto bistrattato “potere ignorante” (lo Stato) possa finalmente esercitare la politica economica, ovvero quello di ricomporre il delicato ma necessario quadro tecno-giuridico della società (capitale-lavoro-Stato) per il ben-essere.

Se l’orizzonte è quello di una diversa articolazione dello stato, è anomala l’assenza di un economista pubblico; occorre passare dallo schema in cui l’area di intersezione degli interessi economici non sia solo la più ampia possibile, ma sia anche governata dal pre-giudizio pubblico in favore dell’interesse pubblico essenziale.

Secondo alcuni analisti servirà un deficit pari alla perdita del Pil; l’ordine di grandezza si avvicina al 10% del Pil.

Dopo ogni crisi il capitale si ricostruisce su nuove basi (Marx); accadrà anche questa volta. Data la profondità della crisi, di gran lunga più grave del ’29, la ricostruzione del capitale deve coinvolgere la macchina pubblica, almeno per la parte che attiene i così detti settori essenziali, lasciando al mercato ciò che deve rimanere al mercato.

In altri termini, il capitale legato all’energia, trasporti, comunicazioni, reti di telecomunicazione elettronica, i poteri speciali per tutte le società che svolgono attività di rilevanza strategica (non confinate alle società privatizzate), gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti, così come la continuità degli approvvigionamenti di beni, unitamente alla sanità (non solo come erogazione di un servizio) e alla scuola, saranno la cornice giuridica necessaria per avviare la fase 2 e per la ricostituzione del capitale.

Non siamo alla socializzazione degli investimenti, ma qualcosa di simile deve pur essere considerato. Non sarà ridisegnata la catena del valore internazionale, ma il controllo delle funzioni essenziali è per questa via garantita. Tale sforzo diventa ancor più dirimente se l’orizzonte del green new deal diventa vero. Guardando alla cartina dei settori colpevoli delle emissione di CO2, il trasporto e magazzino devono essere ripensati anche in funzione della nuova catena del valore. Non si tratta di migliorare questi settori, che ha un senso contenuto, piuttosto è necessario ripensare la Lean production, cioè un modello organizzativo dell’economia mondiale.

È una sfida enorme, ma la green economy è una opportunità che si presta bene alla ricostruzione del nuovo paradigma e del capitale. C’è poi il nodo dei servizi alle persone, al netto di quelli essenziali sopra indicati; possono gradualmente ripartire sotto certe e rigide condizioni. Queste attività sono le meno compromesse, e con adeguato aiuto alla transizione possono camminare ancora sulle loro gambe.

Si può e si deve discutere di fase 2, ma il primo step è quello di delineare un orizzonte credibile.