Chiede un «salto di qualità», una «svolta» – parola che nella storia della sinistra italiana evoca un’ampia gamma di precedenti, non tutti a lieto fine – ma quello di Nicola Zingaretti non è un aut aut al presidente Conte. Anzi. Ieri, alla prima direzione online del Pd – in streaming solo la sua relazione, la seguono in 60mila – il segretario insiste sulla parola «fiducia», sulla «centralità» del suo partito e sulla sua lealtà. Ma poi elenca i rischi dell’autunno, ed è uno scenario cupissimo: «Il possibile dilagare della disoccupazione, il colpo tremendo al turismo, la povertà del ceto medio, lo spettro di milioni famiglie in passato sicure, la condizione delle donne che rischia di tornare indietro rispetto alle conquiste già acquisite». È sbagliato seguire gli avversari in fantasie di nuovi governi, fa capire parlando di legge elettorale (il Pd adesso sostiene il proporzionale e per questo tende una mano anche a Forza Italia). Dopo Conte c’è il voto, fa capire. E menomale che l’agosto scorso ha cambiato idea: «Se non avessimo fatto questa scelta avremmo avuto un governo di destra presieduto da Salvini e vi lascio immaginare in quel isolamento l’Italia si sarebbe trovata». Nell’emergenza Conte ha avuto il merito di «tenere unita la coalizione». Ora però in gioco c’è il destino della legislatura. «Lo scenario» quindi «pretende scelte nuove e una decisiva svolta da compiere insieme ai nostri alleati». Perché «questa coalizione non ha alternative».
Né il Pd ne cerca. Anzi fa un appello «accorato» agli alleati per le amministrative d’autunno: «Non ostacolate nei territori le alleanze. Il Pd è ovunque disponibile per essere una alternativa alla destra, ma dovrebbe essere l’obiettivo di tutti». Si rivolge soprattutto ai 5s (ma anche Iv può essere decisiva in Puglia). E per quell’appuntamento i 5s hanno già incassato un jolly: l’accorpamento del voto amministrativo con il referendum sul taglio dei parlamentari può rimpolpare i risultati grillini. In cambio il Pd non guadagna un granché: di sei regioni al voto, l’unica in cui l’alleanza può andare in porto è la Liguria, sempreché il vertice di oggi vada bene.

Ma il core business della discussione è come il governo Conte possa assicurare un futuro al paese, ed a se stesso: «Siamo al bivio fra l’Italietta e un nuovo modello di sviluppo». Dopo mesi in cui ha lasciato le redini a Conte il Pd annuncia di voler pesare di più, per fare meglio (ma Zingaretti non avanza critiche). Anche perché passata l’emergenza, in autunno il Pd sarà cointestatario di tutti gli eventuali errori. E il rischio di sbagliare è forte: dalla riforma fiscale alla lotta allo scadere del blocco dei licenziamenti, dalla distribuzione dell’enorme flusso di fondi Ue ai dossier incandescenti (Arcelor Mittal, Alitalia, Autostrade). Così si spiega la turbolenza dem sull’improvvisazione degli Stati generali dell’economia: «Nessuna contrapposizione» ma serve «attenzione al rigore e ai tempi certi».

Intanto il Pd chiede di incassare il Mes. Per gli alleati sarà il rospo più difficile da ingoiare, ma la scelta viene data per scontata: i presidente di regione – anche quelli di destra – contano su quei soldi per il rilancio della sanità del dopo-emergenza. Ma il problema non è solo il Mes. L’Ue ha cambiato strada «grazie al nostro impegno», dice il segretario. Il suo vice Orlando però avverte: «Attenzione ai ritardi e alle difficoltà nel gestire i finanziamenti», «lo Stato italiano viene da decenni di soli tagli e rischia di non essere in grado di gestire gli investimenti». Quanto all’Europa, «la gestione degli strumenti messi in campo metterà fatalmente in risalto l’inadeguatezza della sua governance».

Quanto alle vicende interne del Pd, fra contagio e amministrative il congresso non si potrà svolgere (ma era stato già ‘sventato’ nell’ultima assemblea pre Covid). A luglio, preparata da un manifesto, si terrà «un’assemblea nazionale aperta per definire scelte politiche» e «permettere a ciascuno di noi di fare nella chiarezza le proprie scelte». È una variante della vecchia assemblea programmatica: nella storia del Pd (e dei partiti di provenienza) è un grande classico per risarcire dai congressi mancati o persi.

Una ventina gli interventi. Gianni Cuperlo chiede di «mettere in campo una maggiore autonomia nel disegnare l’Italia del dopo Covid» e offre anche «una piattaforma promossa dalla Fondazione» di cui è presidente, «un contributo di idee costruito con gli interlocutori della tre giorni di Bologna assieme a un mondo più largo di forze, personalità, associazioni». Fra i ministri parlano Boccia, De Micheli e Gualtieri. Non Franceschini, protagonista del «chiarimento» con Conte negli scorsi giorni. Unica voce in dissenso è quella di Matteo Orfini, fresco di no al decreto scuola: «Il governo a volte è apparso inadeguato. E non possiamo dire solo che non c’è alternativa: la politica serve esattamente a costruire alternative. Il Pd esca dal lockdown politico in cui si è chiuso da mesi».