La Terra è una rete di vite interconnesse, eppure pensavamo di essere sani in un mondo malato. L’abbiamo compreso? Perché non c’è crisi peggiore di quella che non si comprende. Ma a quanto pare no, se consegniamo nel nostro paese la presunta fase due allo stesso modello culturale ed economico che ci ha portato ad un passo dalla catastrofe. Il ritorno alla vecchia normalità è un’ipocrisia perché significa condannarci ad altri drammi, trasformando una crisi sanitaria, che è già crisi sociale, in crisi della Democrazia.

Per fine anno di questo passo avremo circa 10 milioni di poveri e più della metà della popolazione a rischio esclusione sociale. La Fase 2 non prevede investimenti importanti nella transizione ecologica delle attività produttive, ma è orientata soprattutto dagli interessi di Confindustria, agevolati dall’assenza di una visione capace di ripensare l’esistente. Il diritto al lavoro continuerà a essere separato dal diritto alla salute, mantenendo il pallino della programmazione industriale sempre più nelle mani di interessi privati. L’Europa, ripetendo gli errori del passato, rifiutandosi di socializzare il debito dei paesi aderenti compromette ogni possibilità di impattare la crisi con strumenti adeguati. La conseguenza sarà un ulteriore indebolimento del progetto politico europeo e un cambio ancor più rapido della geopolitica planetaria, sul cui esito non abbiamo certezze.

La fase è caratterizzata da una governance che non potendo garantire solidarietà globale lascia spazio a un isolamento nazionalista che rafforza i populismi reazionari che guidano quasi tutte le principali economie. La relazione diretta tra Covid19 e collasso climatico fotografa invece la costante minaccia a cui le nostre vite sono sottoposte dal regime liberista che per sua stessa natura e struttura produce conflitti ecologici distributivi che continueranno ad amplificare gli effetti della crisi. Ad esempio, consumo di suolo, inquinamento ed urbanizzazione selvaggia sono co-fattori che amplificano l’impatto del Covid. Il virus non ci rende tutti uguali ma espande ulteriormente le distanze tra chi ha una casa, un lavoro, un reddito, un buon ospedale pubblico, una medicina territoriale, una buona scuola, accesso alla cultura, servizi sociali di qualità, un territorio meno inquinato e chi non ha niente di tutto questo o ne ha solo una parte.

In questo quadro il nostro paese riparte solo se costruiremo una cultura in grado di istituzionalizzare la relazione tra giustizia sociale, ambientale ed ecologica. Solo così evitiamo gli errori del passato che hanno trasformato ogni emergenza in una grande opportunità per accumulare profitti per pochi, escludere tanti, arricchire le mafie e distruggere territori e bellezza. Sono queste le ragioni che hanno spinto insieme le realtà che hanno lanciato il Patto per una “Giusta Italia”, sottoscrivendo 18 proposte su diritti sociali, aiuti alle imprese e appalti indirizzate a Parlamento e Governo. L’obiettivo è incidere da subito, perché il futuro lo si costruisce se siamo un fattore nel presente, se vogliamo evitare che a pagare siano ceti popolari, medi e le future generazioni anche questa crisi. Un campo largo e diverso, che include Libera, Cgil-Cisl-Uil, Rete Numeri Pari, i sindaci di Avviso Pubblico, Gruppo Abele, Forum Disuguaglianze e Diversità, Legambiente e tanti altri. Su alcune delle 18 proposte la scorsa settimana una delegazione del Patto ha incontrato la Ministra del Lavoro, il Ministro per il Sud e la Ministra delle Infrastrutture.

Pur riconoscendo gli sforzi fatti nel governo, le misure contenute nel Decreto da 55 miliardi sono insufficienti. Abbiamo chiesto di ampliare la platea del RdC, con misure meno condizionanti e maggiori risorse. Così come è necessario un maggior investimento sul Rem, criteri di accesso più semplici e diverse modalità di erogazione per evitare il rischio di scoraggiare molti degli aventi diritto, rallentando l’intervento per tutti sino a renderlo inefficace. Abbiamo denunciato i limiti nell’integrazione tra il Rem ed il RdC che generano confusione e rischiano di non consentire l’accesso nemmeno agli aventi diritto.

L’Inps dovrebbe automaticamente integrare gli importi per chi avesse già diritto al RdC, evitando lungaggini e burocrazie oggi inaccettabili di fronte al dramma di milioni di cittadini. Ma al Governo abbiamo detto che è altrettanto urgente sospendere o ridurre drasticamente gli affitti regolati dal mercato, bloccare le procedure esecutive di sfratto, prevedere un contributo specifico per il periodo di crisi economica causata dal Covid-19 ed abolire l’art.5 del piano casa Lupi-Renzi. Abbiamo chiesto un piano pluriennale per garantire le persone senza fissa dimora, le comunità Rom e chi è in condizione di detenzione e la regolarizzazione di tutti i lavoratori migranti. Così come più fondi per gli enti locali, impegnati a contrastare la crisi sociale senza strumenti adeguati a causa di un welfare che già prima del Covid non era in grado di garantire a tutti protezione sociale.