Francesco Verso è scrittore di fantascienza (fra i suoi lavori Livido, recentemente tradotto in inglese, e il romanzo in due volumi I camminatori) nonché ideatore e promotore del progetto editoriale Future Fiction, “un progetto multiculturale indipendente” che si propone di dare voce ad autori e visioni del futuro provenienti da ogni parte del mondo. Fra cui, e anzi soprattutto, la Cina. Attraverso Future Fiction Francesco ha pubblicato in italiano cinque raccolte di racconti scritti da alcuni dei più noti autori cinesi contemporanei di fantascienza (fra cui Liu Cixin 刘慈欣, Han Song 韩松, Xia Jia 夏笳 e Chen Qiufan 陈楸帆) e con la sua attività editoriale è venuto a creare molti contatti e rapporti di collaborazione con scrittori, studiosi e istituzioni culturali cinesi.

MF: Francesco, Future Fiction nasce anche dalla tua insoddisfazione riguardo all’egemonia della “voce” americana, e al dominio della lingua inglese, sulla produzione fantascientifica mondiale: il tuo progetto si distingue per la volontà di dare rappresentazione ad autori e visioni del futuro provenienti da aree geografiche e culturali finora scarsamente rappresentate nel sistema della fantascienza occidentale, fra cui, appunto, principalmente la Cina. Negli ultimi anni sei stato più volte invitato in Cina, dove hai partecipato a convegni, conosciuto editori, frequentato istituzioni educative e aziende, e hai avuto quindi accesso diretto nei gangli della produzione fantascientifica cinese… Ciò a mio avviso ti ha dotato di uno sguardo privilegiato per osservare il sistema fantascientifico cinese e l’immaginario tecnologico che questo contribuisce a produrre: da un lato la tua recente incursione nella realtà cinese ti consente di cogliere con immediatezza le peculiarità degli scenari futuristici che la Cina oggi presenta di sé, dall’altro il tuo essere esperto delle “diverse” fantascienze mondiali ti consente di apprezzare le specificità di quella cinese, sia a livello di temi e contenuti, sia a livello dei suoi meccanismi di produzione. Ora noi sappiamo che la Cina negli ultimi decenni ha goduto di una prodigiosa crescita economica, e che negli ultimi anni il governo cinese si è impegnato a promuovere un poderoso programma di sviluppo tecnologico: un processo che da un lato sta radicalmente riconfigurando i rapporti della Cina con il resto del mondo, mentre dall’altro sta ridefinendo in profondità le dinamiche delle interazioni sociali in Cina. Questa espansione tecnologica, rapidissima e ultrapervasiva, comporta inevitabilmente la diffusione di forme di esperienza a essa collegate, esperienze che la letteratura fantascientifica (seguita a ruota dal cinema e da altre forme d’arte) si incarica di rielaborare in forma immaginativa. Ci sono, secondo te, degli elementi peculiari nel modo in cui gli scrittori cinesi immaginano la tecnologia, il suo ruolo nell’evoluzione dell’ordine sociale, il rapporto che essa costruisce con l’uomo e fra gli uomini?

FV: La Cina rappresenta la novità più clamorosa nella fantascienza degli ultimi anni in quanto l’affermazione di Liu Cixin (刘慈欣) e Hao Jinfang (郝景芳) ai premi Hugo 2015 e 2016 con Il problema dei tre corpi (三体), edito per Mondadori, e Pechino pieghevole (北京折叠), pubblicato sulla rivista Robot nr. 79, ha riaffermato quanto si era perduto con il declino della fantascienza sovietica, e cioè che esistono altre narrazioni sul futuro, oltre a quella di lingua inglese e di cultura anglosassone.

A mio avviso, una delle particolarità della fantascienza cinese sta proprio nel suo guardare contemporaneamente al passato e al futuro come elementi imprescindibili e fondativi del presente, le tre scansioni temporali si muovono quasi in sinergia (a volte in accordo, altre in opposizione), ma nelle storie che ho avuto modo di selezionare non c’è un atteggiamento univoco nei confronti del tempo (possono esserci certamente delle cesure che tuttavia producono comunque degli effetti nella loro negazione): rapporti intergenerazionali tra giovani e vecchi, un passato contadino, un presente urbano e un futuro ultratecnologico, il confucianesimo di un tempo e il capitalismo di oggi, sono tutti elementi lontani gli uni dagli altri che però s’intrecciano a formare un canovaccio “non-lineare”. Chen Qiufan, uno dei migliori scrittori della cosiddetta generazione balinghou (Post-Ottanta), ovvero quella degli autori nati negli anni ’80, mi ha raccontato che la narrativa cinese predilige un andamento a “spaghetti” in cui il tempo non segue necessariamente una progressione in linea retta, come spesso succede nel mondo occidentale.

Per quanto riguarda l’impressionante sviluppo tecnologico e il suo impatto sulla società moderna le autrici e gli autori di fantascienza cinesi non si discostano molto dall’atteggiamento di qualunque altro scrittore: c’è chi vede una trasformazione troppo accelerata, ai limiti dell’iperbole tecnologica, che rischia di stravolgere l’identità dell’individuo e di ridurlo a un numero identificativo del cliente, a un codice a barre da prodotto a scaffale, a un mero ingranaggio dell’immensa macchina capitalista globale, e c’è invece chi auspica un “soluzionismo tecnologico” – per usare un termine coniato da Evgenij Morozov – in grado di affrancare la popolazione dai limiti della condizione umana, dalla spaventosa pressione sociale, dalle imprevedibili conseguenze dell’Antropocene e dall’inquietante espropriazione del libero arbitrio tramite big data e profilazione avanzata.

Poiché in Cina si sta vivendo un’anteprima dei possibili domani che arriveranno in molte altre parti del mondo avanzato, il loro è un punto di vista estremamente favorevole per l’analisi e la riflessione sui macro-trend; parafrasando Han Song, autore di spicco nonché giornalista dell’agenzia di stampa Xinhua, “basta affacciarsi a una finestra delle tante metropoli cinesi per guardare direttamente il nostro domani”. E in effetti, ciò che si sta sperimentando in Cina è qualcosa che noi possiamo soltanto immaginare da una certa distanza (aggiungerei di sicurezza ma anche di arretratezza), tanto che, personalmente, considero la Cina attuale come un gigantesco esperimento di fantascienza di massa e, da scrittore di genere, non può che rappresentare il luogo migliore dove andare a cercare gli elementi drammaturgici degli anni a venire, che si tratti di immaginazioni utopiche o derive distopiche.

MF: Oggi in Cina la fantascienza è circondata da un grande entusiasmo, il genere negli ultimi anni sembra essersi ricavato un suo spazio al centro della scena letteraria cinese al punto che pare ormai pratica diffusa quella di riscrivere la storia della letteratura cinese moderna dal punto di vista della fantascienza, scomodando come padri nobili del genere intellettuali del calibro di Liang Qichao e di Lu Xun. Emerso all’alba del Novecento, negli anni in cui l’ordine imperiale tradizionale era prossimo al crollo e la Cina entrava nei panni di “malato dell’Asia Orientale” nel sistema della modernità coloniale, il “romanzo scientifico” originariamente produceva delle fantasie utopiche che lenivano i traumi della debolezza nazionale proiettando la Cina in un futuro di forza, ricchezza e sviluppo tecnologico che le permettevano finalmente di rivaleggiare se non addirittura prevalere sulle potenze occidentali. Nei primi decenni della Repubblica Popolare, una certa narrativa popolare di stampo utopico-scientifico è stata invece promossa e nel contempo inibita dal Partito Comunista, che se da un lato chiedeva a quest’ultima di educare i cinesi alla scienza stimolandoli nello stesso tempo ad antivedere le immagini ideali del futuro che avevano in serbo se solo avessero lottato per realizzarlo (e dunque di fatto stimolandoli a lottare per lo sviluppo della società cinese), dall’altro fino alla metà degli anni Ottanta temeva che questo tipo di narrazioni potessero ritorcerglisi contro producendo visioni del futuro non esattamente in linea con l’ideologia ufficiale.

È stato solo a partire dagli anni Novanta, con l’affermazione dell’economia “socialista” di mercato e la contemporanea “depoliticizzazione” dell’ideologia dominante, che per la fantascienza cinese si è aperto uno spazio, marginale ma abbastanza autonomo, che ne ha favorito lo sviluppo alimentandone un’originale vena creativa. È in quest’ambito infatti che nasce la narrativa di Liu Cixin, scrittore che fino a una decina di anni viveva in un’oscura cittadina dello Shanxi ed era pressoché sconosciuto al di fuori delle cerchie dei fan. Ma anche quella di Han Song, noto per le sue fantasie distopiche che pur proiettate nel futuro sembrano costituire, più che altro, delle critiche velate della società cinese contemporanea. La vittoria del Premio Hugo 2015 da parte di Liu Cixin, però, ha spinto improvvisamente la fantascienza cinese sotto la luce dei riflettori, spalancandone inaudite possibilità di sviluppo.

Oggi in Cina c’è un boom della fantascienza, si moltiplicano le convention, i media ne parlano moltissimo, e grandi sforzi vengono fatti per tradurre la fantascienza cinese all’estero. Il punto è che questa crescita è inseparabile dall’interesse, piuttosto peloso, del potere politico, che non ha perso tempo ad appropriarsi di tale genere per inserirlo stabilmente nell’alveo della propria agenda ideologica: basti pensare che ad aprire con un suo discorso la conferenza sulla fantascienza organizzata a Pechino dalla China Association for Science and Technology, nel 2016, è stato l’allora vicepresidente della Repubblica Popolare, Li Yuanchao, che in quella come in altre occasioni ha invitato a “sostenere con forza” lo sviluppo della fantascienza come strumento utile per contribuire allo sviluppo economico, tecnologico e culturale della Cina.

Ancora una volta dunque la fantascienza è stata incorporata dal governo con un preciso intento pragmatico: da un lato ispirare, soprattutto fra i giovani, “l’amore, lo studio e l’utilizzo della scienza” (sono parole di Xi Jinping) così da capitalizzare tali passioni scientifiche nel nuovo modello di sviluppo incentrato sull’innovazione; da un lato forgiare – e foraggiare – una nuova generazione di scrittori che provvedano con la loro creatività a diffondere un immaginario tecnologico cinese e delle immagini di una Cina tecnologica da usare anche come strumenti di soft power. È in quest’ottica che possiamo leggere, per esempio, la creazione del “Centro per la Scienza e l’Immaginazione Umana”, presso la Southern University of Technology di Shenzhen, guidato dal prof. Wu Yan che tu conosci bene.

Tu hai avuto modo di interagire dal vivo con questo sistema. Potresti dirci qualcosa riguardo alle sue dinamiche di funzionamento? In che modo ti pare che questo intervento istituzionale influenzi le dinamiche di produzione della fantascienza in Cina? Ritieni che questo ruolo dello stato abbia un’influenza determinante nello strutturare l’immaginario tecnologico veicolato dall’attuale fantascienza cinese?

FV: In effetti, se un tempo la fantascienza è stata definita dal prof. Song Mingwei la “letteratura dell’invisibile”1 per la sua capacità – mediante il ricorso all’allegoria e alla metafora futura – di descrivere più il tempo in cui la storia è scritta che quello in cui è ambientata, da alcuni anni non è più così. Da quando gli scambi di email tra due appassionati di fantascienza come Chen Qiufan e Ken Liu (autore sino-americano che a 6 anni si è trasferito con la famiglia dalla Cina negli Stati Uniti) hanno prodotto una serie di traduzioni di racconti brevi, e in seguito de Il problema dei Tre Corpi di Liu Cixin, il genere fantascientifico ha assunto una rilevanza molto maggiore. Tanto che, come giustamente hai ricordato, le convention di Science Fiction in Cina hanno spesso (un po’ per dovere, e ultimamente un po’ anche per volere) il supporto delle autorità locali e dell’apparato dirigenziale cinese.

La quarta convention internazionale di fantascienza di Chengdu del 2017, per fare un esempio, si è svolta in un clima di grande partecipazione da parte delle istituzioni del Sichuan, segno che la modernizzazione e lo sviluppo tecnologico, uniti alla letteratura, sono ritenuti elementi imprescindibili di progresso sociale e culturale. Per capire il livello di interesse, basta citare alcuni brani dei discorsi pronunciati durante la cerimonia di apertura dal sindaco di Chengdu, dalle autorità provinciali e dal Rettore dell’Università del Sichuan:

“Vogliamo trasformare la Cina in una potenza scientifica grazie all’immaginazione e all’innovazione.”

“La fantascienza è il ponte tra il presente e il futuro del paese e serve le masse.”

“L’immaginazione è il supporto per creare conoscenza, ispirare le persone a trasformare le loro vite e generare sapere scientifico nel lungo periodo.”

“Se i giovani sono forti, sarà forte la società.”

“Come possiamo ridurre l’ansia verso il futuro? La fantascienza serve anche a questo.”

“Vogliamo nutrire il nostro paese di fantascienza e contribuire così alla rinascita della società.”

Ora, al di là della classica retorica della politica presenzialista, l’intera conferenza è stata organizzata e finanziata dalla rivista Science Fiction World (con tiratura 500.000 copie al mese, la maggiore al mondo). Un supporto del genere ha suscitato grande entusiasmo ma anche alcune lecite riflessioni: che cosa si aspetta il governo dalla fantascienza? In quali termini valuterà l’investimento che sta facendo nel genere? E se le cose non andassero come previsto, taglierà i fondi destinati ad alimentare la crescita di questo genere, oppure lo accuserà di “inquinamento spirituale” come già avvenuto in passato? E quanto tempo accorderà il governo agli scrittori e agli editori per internazionalizzare il settore, dentro e fuori la Cina?

Per adesso, l’interesse sembra sincero e genuino, qualcosa di cui noi Occidentali spesso diffidiamo (per esperienza o per pregiudizio) vedendo nell’apertura e nella generosità il classico “cavallo di Troia”. A mio avviso, si tratta di una sorta di mecenatismo: il Partito ha subodorato un’occasione per veicolare un messaggio importante che fa presa sulla gente, una via cinese allo sviluppo futuro, e ha individuato nella fantascienza il genere letterario che più si avvicina alla costruzione di immaginari possibili, seppure la fantascienza mantenga al suo interno ambizioni diverse, che vanno dall’intrattenimento puro e semplice all’impegno civile e alla denuncia sociale.

Un aneddoto per comprendere il pragmatismo cinese e la “fortuna” della fantascienza: una volta, alcuni anni fa, per il tema del famigerato gaokao, l’esame di ammissione all’università cinese, era stato scelto questo titolo: “Cosa succederebbe se la memoria fosse trasferibile?” Quello stesso mese, la rivista Science Fiction World aveva pubblicato racconti su quello stesso tema e allora migliaia di famiglie, preoccupate per il destino dei loro figli, erano andate a leggere storie di fantascienza per superare l’esame. Da allora in poi, cosa facilmente prevedibile, il numero di lettori di SF è cresciuto.

Al di là di questo episodio casuale, è indubbio che la fantascienza rappresenti oggi il modo migliore per esplorare vari aspetti della Cina contemporanea, prova ne è il fatto che la letteratura mainstream ha accordato alla Science Fiction – in passato considerata soltanto come narrativa di evasione e per bambini o tutt’al più come strumento di divulgazione pedagogico-scientifica – una rilevanza mai avuta prima. Oggi in Cina si assiste a un processo di urbanizzazione inaudita, il numero di grattacieli è superiore a quello di qualunque altra nazione, i treni ad alta velocità e gli aeroporti collegano ogni angolo del paese e app di qualunque tipo (dal pagamento di servizi, trasporti e comunicazione, fino al dating online) hanno rimpiazzato una miriade di uffici; allora chiunque ignori o trascuri questo processo di trasformazione incessante, chiunque non riesca a intercettate i nuovi sogni e desideri di questa popolazione protesa verso il futuro è destinato a scrivere per un pubblico anziano, a rappresentare una cultura arretrata che, se ancora esiste, è comunque in rapida scomparsa. Secondo me, la fantascienza va considerata come la narrativa del presente cinese e il mainstream, volente o nolente, deve comunque fare spazio a questo tipo di narrativa. Il dibattito tra critici e sostenitori del genere è entrato nel vivo e le due fazioni sono divise su quanto e quale credito si debba accordare alla narrativa di fantascienza.

Un caso emblematico è quello del prof. Wu Yan, il quale l’anno scorso, dopo più di vent’anni trascorsi all’Università Normale di Pechino a insegnare fantascienza e a formare un’intera generazione di autori e critici, ha deciso di trasferirsi a Shenzhen, nel sud del paese, per aprire un avveniristico Centro di Ricerca per la Scienza e l’Immaginazione Umana presso la Southern University of Science and Technology. Qui, accanto alle tradizionali facoltà scientifiche per cui Shenzhen è famosa nel mondo, sono stati aperti corsi di materie umanistiche per tentare di forgiare scrittori capaci maneggiare e fondere le due anime della fantascienza. Per capire l’importanza del prof. Wu Yan basti pensare che alcuni tra i suoi allievi rappresentano oggi i migliori scrittori di SF contemporanea (la generazione balinghou composta tra gli altri da Chen Qiufan, Xia Jia, Bao Shu, Zhang Ran, Hao Jinfang, Kanyu Wang) oltre che i critici e i docenti di fantascienza che siedono nelle università di Chongqing (Zhang Fan), Pechino (Fei Dao), X’ian (Xia Jia), Shenzhen (Jiang Zhenyu) e Shanghai (Yan Feng).

Esiste un intero movimento di persone che ruota attorno alla fantascienza, composto da migliaia di fan, centinaia di incontri sparsi per le metropoli del paese (ho partecipato ad uno di questi all’università di Chongqing durante una sessione affollatissima di ragazze e ragazzi curiosi di sapere cosa stesse succedendo alla SF mondiale), decine di convention annuali e un mercato che lo stesso prof. Wu Yan ha stimato intorno ai 140 milioni di yuan (circa 1 milione e 800.000 euro) per l’anno 2017. E poiché la fantascienza cinese vuole crescere fino al punto di essere esportata non può farlo restando chiusa in se stessa come in passato, quando le traduzioni dall’inglese o dal francese erano piuttosto rare. Oggi la Cina – come ogni altro paese al mondo – guarda alla fantascienza anglofona per tenersi aggiornata e provare a superare i “maestri del genere” anche se ultimamente il desiderio di superare il classico binomio Stati Uniti/Gran Bretagna ha convinto alcune riviste e case editrici a esplorare altre fonti narrative, come il Giappone, la Russia, e l’Italia (due miei romanzi, Livido e Bloodbusters usciranno il prossimo anno per l’editore Bofeng Culture di Pechino).

Quest’apertura è segno che, pur con le dovute cautele e accortezze legate a determinati temi sensibili, la fantascienza vive un momento di grande fervore e dinamismo. Per fare un esempio, un mio racconto è stato rifiutato da una rivista di SF perché parlava di migranti musulmani che venivano prima respinti dall’Europa nel Mediterraneo e poi accolti su un’isola terraformata nell’Oceano Indiano, mentre un’altra rivista ha accettato lo stesso racconto spostando la posizione originale dell’isola dall’Oceano Indiano a Hainan in modo da mostrare come la Cina possa essere considerata un paese accogliente. Stranezze dell’editoria? Io ci vedo il desiderio di aggirare un ostacolo con fantasia, un aspetto che di sicuro accomuna cinesi e italiani.

MF: Una cosa che mi ha molto colpito è stato quando mi hai raccontato che il Wanda Group ti aveva invitato, assieme ad altri scrittori, a scrivere un racconto sul futuro di un villaggio del Guangdong che lo stesso Wanda group intendeva contribuire a sviluppare. La produzione del nuovo immaginario fantascientifico cinese sembra essere in larga parte il risultato della spinta congiunta e spesso integrata delle istituzioni politiche e degli apparati del capitalismo cinese. Vedi per esempio l’apertura nel 2016 di un grande parco a tema, l’Oriental Science Fiction VR Theme Park, con tanto di Transformer gigante alto 53 di metri, nella città capoluogo del Guizhou, Guiyang, connesso allo sviluppo di quell’area come cuore dell’industria cinese dei big data (un parco in realtà che al momento, per la verità, non sembra attirare alti numeri di visitatori). Puoi parlare di questa tua esperienza? Quali dinamiche ti sembrano governare le interazioni fra scrittori, istituzioni culturali e aziende private? Come secondo te questi interazioni influenzano le attività di creazione con i loro contenuti?

FV: Dalle mie frequentazioni con scrittori, editor e accademici emerge un quadro piuttosto chiaro (almeno nel presente): l’impressione è che il “sistema”, una specie di coscienza collettiva diffusa, voglia partecipare – con modalità e motivazioni differenti – alla costruzione di un immaginario futuribile di stampo cinese. C’è più interesse verso l’organizzazione di eventi di tipo fantascientifico perché tali manifestazioni rimandano alla scienza e alla tecnologia, due fenomeni ritenuti altamente strategici nella guerra commerciale che si prospetta nei prossimi anni.

La consapevolezza di questa rinnovata energia, spendibile sia dal punto di vista finanziario che culturale, fa sì che molti settori desiderino investire tempo e risorse in progetti di fantascienza in forma di libri, fumetti, cinema e videogiochi: lo Hanban, ovvero l’Ufficio Nazionale per la diffusione della lingua e la cultura cinese all’estero, intende finanziare la traduzione di opere di fantascienza cinese in altre lingue, aziende private come Storycom e Future Affairs Administration sviluppano progetti audiovisivi e organizzano convention di fantascienza già da alcuni anni, senza trascurare fondazioni e venture capitalists che, come nel caso della “Science and Fantasy Growth Fundation” – creata, su iniziativa di un gruppo di scienziati, scrittori e investitori, da Frank Ma, business angel proveniente dall’industria dell’IT– intende sostenere gli autori di fantascienza nella stesura delle loro opere senza che questi ultimi debbano preoccuparsi della sopravvivenza. La fondazione è nata nel 2015 e da allora ha distribuito più di 1 milione di yuan (circa 130.000 euro) a quasi 50 autori contribuendo alla pubblicazione di 7 romanzi. Inoltre ha favorito l’istituzione del premio “Stella nascente” che ha raccolto più di 1000 partecipanti e 1600 storie. Se questa non è fantascienza, non saprei come altro definirla.

Quindi sì, lo scenario che si va prefigurando è quello di una piattaforma di narrazioni integrate e crossmediali che proiettino la “Cina futura” in avanti, nel tempo e nello spazio, una piattaforma intesa proprio come uno strumento di fruizione culturale (ed espansione commerciale) sia a livello nazionale che internazionale. Progetti di ampio respiro come la Grande Muraglia Verde, le città eco-sostenibili che integrino 5G a bassa latenza, veicoli autonomi e sistemi multimediali immersivi, i massicci investimenti nell’intelligenza artificiale, la ricerca e sviluppo di celle organiche fotovoltaiche per la trasformazione della luce solare in elettricità, l’implementazione su vasta scala del credito sociale e delle tecniche di manipolazione genetica potrebbero essere tutte quante idee uscite fuori da romanzi di fantascienza e invece sono ciò che la Cina sta già iniziando a realizzare, in anticipo di parecchi anni sul resto del mondo, un mondo ancorato – nel bene o nel male resta ancora da vedere – a un presente fatto di politiche di piccoli passi, tatticismi elettorali, minimizzazione dei rischi e visioni ambientaliste conservatrici se non addirittura negazioniste.

Ovviamente esiste il rischio che quanto fatto sinora si trasformi in un boomerang, che quanto concesso con tanta generosità possa essere negato e che la libertà di espressione e di critica sociale insita nella fantascienza debba piegarsi alle esigenze della politica e dell’economia reali. Esistono multinazionali come Wanda Group che hanno invitato alcuni scrittori di fantascienza (cinesi e stranieri) a visitare il villaggio di Danzhai, abitato dalla minoranza etnica Miao, nella regione del Guizhou. Poiché Wanda Group vuole investire ingenti capitali nel rinnovamento dell’intero villaggio allo scopo di incentivare il turismo locale e non solo, gli scrittori hanno avuto il compito di scrivere un racconto sul futuro del villaggio e della comunità. Siamo di fronte alle ambizioni di Mecenate o di Pigmalione? E dove finisce il sostegno economico e comincia l’influenza politica? Naturalmente casi del genere esistono ovunque, non solo in Cina. Di recente sono stato invitato da una fondazione che lavora nel campo della formazione aziendale a parlare di antropocene e fantascienza a un gruppo di manager di una multinazionale di telecomunicazioni. È quindi la natura stessa dell’arte e della letteratura – e in Italia ne conosciamo innumerevoli risvolti da millenni – a cercare compromessi e relazioni spurie per continuare a esistere. A volte, anche dai compromessi può nascere qualcosa di positivo.

D’altra parte, gli inviti alle conferenze di fantascienza provengono da istituzioni di grande rilevanza come la China Association for Science and Technology, l’Università Tsinghua di Pechino e la rivista Science Fiction World per cui sarebbe sbagliato sminuire l’interesse che la cultura cinese sta esprimendo verso il proprio futuro, un interesse che si declina in un misto di stupore, per le incredibili opportunità considerate impossibili da raggiungere fino a pochi anni fa, e timore, perché l’accelerazione con cui il cambiamento plasma la realtà impedisce di vedere la direzione verso cui si sta correndo, seduce con grandi ricchezze accumulabili in breve tempo, e deforma la percezione stessa della propria esistenza senza avere il tempo di riflettere sulle scelte compiute, soppesando i pro e i contro lungo questa marcia prodigiosa verso il domani. Se la fantascienza può essere utile a mappare e a intravedere i picchi più elevati delle grandi trasformazioni che si stagliano all’orizzonte, tali vette restano comunque avvolte nella nebbia e su quali fondamenta poggeranno dipenderà dalle decisioni che verranno prese oggi, giorno dopo giorno.

MF: Parlando ancora del connubio fra ideologia e capitale, non possiamo non menzionare The Wandering Earth, il colossal prodotto dalla China Film Group Corporation (di proprietà statale) e distribuito fuori dalla Cina da Netflix, che ha preso due piccioni con una fava diventando da un lato un blockbuster internazionale che ha consacrato l’ascesa tecnologica dell’industria cinematografica cinese (il film è stato celebrato in patria soprattutto per i suoi effetti speciali, fino a non molto tempo fa tallone d’Achille delle produzioni cinesi), e dall’altro ha assolto magnificamente al compito affidato da Xi Jinping ai produttori culturali di “raccontare bene la storia della Cina”: il film, infatti, non solo racconta una storia in cui sono i cinesi a salvare il mondo dall’Apocalisse mentre gli americani si imboscano e se la danno a gambe, ma pure con la sua etica del sacrificio, la sua morale “teleologica” e la sua celebrazione dell’abnegazione in stile “vecchio sciocco che sposta le montagne” è un concentrato di “valori cinesi” così come questi sono immaginati dal governo.

Fino a non molto tempo fa gli scrittori di fantascienza, in Cina, sembravano voler usare le modalità narrative tipiche di questo genere più che altro per interrogare, o criticare, le tendenze dello sviluppo cinese, tratteggiando gli elementi dispotici, darwinisti, o i fattori di alienazione che vedevano nella società cinese. Non è che questo doppio intervento di stato e capitale, lungi dallo stimolare la creatività degli scrittori, finisca per spuntare le loro armi, limitando le potenzialità immaginative e conoscitive della scrittura fantascientifica intesa come metodo per esplorare le connessioni fra uomo, tecnologia e società? Non c’è il rischio che anche la fantascienza cinese si trasformi in un’arma di distrazione di massa? Che la nuova fantascienza, lungi dal costituire una voce alternativa all’egemonia americana, si trasformi in un clone di Hollywood con le “caratteristiche cinesi”?

FV: Il rischio esiste ed è concreto. Lo scenario peggiore sarebbe quello di una sfida a suon di blockbuster tra cinema hollywoodiano americano e cinese; come non m’interessa il primo, così varrebbe per il secondo.

Per decenni ci siamo saziati fino all’obesità oblomoviana di “american lifestyle” con film, musica e brand, una specie di propaganda pervasiva in salsa libertaria che potrebbe vedere la dose rincarata, non solo da occidente bensì anche da oriente, con venature più paternalistiche.

L’anno scorso a Pechino ho incontrato Xia Jia, un’autrice la cui scrittura viene definita “porridge SF” per la commistione – morbida e delicata – tra temi della tradizione popolare cinese e della contemporaneità; con lei abbiamo parlato del fatto che molti autori di fantascienza si stanno dedicando sempre più spesso alla scrittura di sceneggiature e che in alcuni premi di fantascienza cinesi è stata introdotta la categoria “romanzo adattabile per il grande schermo o la serie TV”. Soprattutto i giovani balinghou sono i più esposti al canto delle sirene del cinema, poiché sono cresciuti con i film americani, hanno studiato e viaggiato all’estero, e subiscono il fascino dello stile di vita da celebrità hollywoodiane. Spero che i tanti scrittori che ho avuto modo di conoscere non abbandonino la scrittura per la sceneggiatura, e che quindi un’intera generazione di autori, appena nata, non svanisca così presto. Una situazione del genere sembra assurda, per noi in Italia dove è impossibile sopravvivere di scrittura senza un altro mestiere di supporto, ma lì sta succedendo davvero. Ma attenzione, l’anno scorso Liu Cixin ha deciso di non assegnare il premio Gravity nella categoria scrittore emergente perché le opere in gara non erano all’altezza e Han Song, intervistato da Simone Pieranni qualche tempo fa sul Manifesto, ha detto: “Non voglio essere uno sceneggiatore, poiché richiede tecniche speciali. E significa anche frenare il libero pensiero”.

D’altra parte, spero che il cinema cinese di fantascienza intraprenda un percorso di affrancamento dall’influenza e dall’imitazione hollywoodiana e che la drammaturgia di genere riesca a maturare fino al punto da ottenere sceneggiature originali di alto livello senza rendere per forza necessaria la trasposizione cinematografica di un bel romanzo, anche se ciò va contro gli interessi della fantascienza scritta. Questo perché sono convinto della necessità di variare le esperienze narrative: se leggere è come camminare, vedere un film è come andare in macchina e giocare a un videogioco è come prendere un aereo. Tre esperienze molto diverse tra loro: nella prima usiamo tutti i sensi, decidiamo l’andamento e la lentezza consente la riflessione; nella seconda perdiamo alcuni sensi a causa della velocità e viaggiamo su un percorso/storia deciso da altri messi dentro/davanti a una scatola che ci impedisce altri movimenti e pochi pensieri; addirittura nel videogioco/aereo è solo il nostro sistema nervoso a reagire, spingiamo soltanto pulsanti, sospesi in un mezzo di trasporto/intrattenimento lontano dalla realtà, allacciati a una cintura di sicurezza/interfaccia e lanciati a oltre settecento chilometri all’ora nel cielo/spazio virtuale.

Non è che non dovremmo più usare film/automobili e videogiochi/aerei (benché l’emergenza climatica ci imponga una riduzione drastica del loro uso), ma neppure dovremmo smettere di leggere/camminare e usare quelle parti del cervello che si attivano meglio con la lettura/cammino che con altri mezzi di comunicazione/trasporto: riflessione, analisi e immaginazione.

La fantascienza cinese è a un bivio e la strada che i suoi interpreti decideranno di intraprendere ne segnerà il destino dei prossimi anni.

1 Mingwei Song, “Representations of the Invisible: Chinese Science Fiction in the Twenty-First Century”, in Carlos Rojas e Andrea Bachner (a cura di), The Oxford Handbook of Modern Chinese Literatures (New York: Oxford University Press, 2016), 549