C’è un mondo ancora tutto da scoprire che rischia di scomparire letteralmente davanti ai suoi occhi: Ava, protagonista dell’esordio di Léa Mysius che porta il suo nome, ha tredici anni ed è in vacanza in una località di mare francese insieme alla madre single e il fratellino appena nato. Presto però scopre di stare perdendo la vista: prima smetterà di vedere solo la notte, e a breve tutte le immagini si spegneranno davanti a lei. Il film, presentato alla Semaine de la critique, sarebbe un classico racconto di formazione: il mare d’estate, la scoperta di sé e del desiderio, l’opposizione adolescenziale alla madre-nemica in quanto lei stessa fragile, confusa, desiderosa di amare al pari della figlia che trova l’oggetto del desiderio in un ragazzo gitano, Juan,che si vede spesso in spiaggia col suo cane. Il racconto dell’ingresso della protagonista nel mondo adulto è però complicato dal fatto che quest’estate dai colori volutamente sgargianti è anche l’ultima che si offrirà ai suoi occhi: il blu del mare, i contorni del corpo amato stanno per diventare dello stesso nero corvino del pelo del cane di Juan. Per questo Ava, e il film con lei, accelera i tempi e la sua estate diventa il crocevia di tantissime esperienze non rimandabili: l’amore, la ribellione, il pericolo, il contatto con un mondo radicalmente diverso come quello dei gitani.

È quindi deliberatamente un caleidoscopio di immagini e storie l’esordio di Mysius – anche co-sceneggiatrice del film d’apertura del Festival di quest’anno, Les Fantomes d’Ismael di Arnaud Desplechin. Riuscito quando si concentra sull’innamoramento di Ava e i fantasmi delle sue paure – la cecità equivale al timore di un futuro inconoscibile – e meno appassionante nella sua ansia, parallela a quella della protagonista adolescente, di affastellare la visione di temi e percorsi che si intrecciano. Il punto di vista degli adolescenti sul mondo e la sua crudeltà è stato uno dei temi portanti di questa edizione della Semaine – con Ava ci sono anche i piccoli innamorati di Sicilian Ghost Story e la storia del dodicenne Pedro, protagonista di un altro esordio presentato ieri in concorso: La Familia di Gustavo Rondon Cordova, primo film venezuelano ad essere selezionato dalla Settimana della critica francese. Protagonista insieme a Pedro è suo padre Andrès e soprattutto la città di Caracas, che Cordova rappresenta nei suoi quartieri più poveri e malfamati in opposizione alle ville di lusso uguali a ogni latitudine, in cui padre e figlio si trovano a lavorare come camerieri durante il loro peregrinare incessante. L’incidente che dà avvio si loro problemi è infatti il litigio tra Pedro e un altro bambino che, pistola alla mano, cerca di rubargli il cellulare. Pedro lo accoltella con un vetro rotto, e per sfuggire alla vendetta dei parenti lui e il padre vagabondano dunque da un quartiere – e un lavoro – all’altro.

«Sono convinto della necessità di girare in esterni – dice il regista – per meglio fotografare questo momento di transizione del Venezuela». Sempre vicini, e sempre soli contro gli ostacoli che di moltiplicano davanti a loro, Pedro e Andrés sono infatti come il padre e il figlio di Ladri di biciclette, a cui forse il regista ha pensato in questo suo racconto di un paese in mutazione, attraversato da scosse violente, anch’esso sul confine di un futuro ancora sconosciuto.