La sua faccia sembrava di averla vista da qualche parte, familiare ma non rassicurante, di quelle che ti restano in mente e si fissano nel tuo orizzonte visivo. Era questo James Gandolfini, con quella sua aria sorniona, quasi invisibile, e il talento del grande attore che sa «mascherarsi» toccando le punte di tutti i registri, comico o drammatico, violento o bonaccione, senza rimanervi impigliato. Eppure ieri alla notizia della sua morte, ucciso da un infarto a Roma, dove era in vacanza con la famiglia per poi proseguire al festival di Taormina, dove era tra gli ospiti più attesi, in rete, gli infiniti post e tweet dei fan ricordavano una sola cosa: Tony Soprano, il personaggio della serie che lo ha reso una star.

Quasi come se prima Gandolfini, che aveva soltanto cinquantuno anni, non esistesse. Eppure la sua carriera comincia alla fine degli anni Ottanta, nell’87, con un film horror comico Shock! Shock! Shock!, e va avanti nel decennio successivo. Gandolfini lavora con i Coen (L’uomo che non c’era), Turturro (Romance & Cigarettes). Lumet (Prove apparenti), Minghella (Mr.Wonderful), Nick Cassavetes (She’s so lovely) personaggi di italoamericano, mai protagonisti nei quali però Gandolfini immette contrasti, dolore, umorismo, ironia che li rende forti.
Non è bello, non è charming, quella faccia imperturbabile, che non sai mai cosa pensa, gli permette di giocare sull’ambiguità e sulla sorpresa, di mutare all’improvviso, rivelarsi crudele o liberare una risata. Finché non arriva Tony Soprano, il boss mafioso che soffre di attacchi di panico, e sul lettino dello psicanalista confida i suoi guai a cominciare dal rapporto con la madre ingombrante, poi la moglie, i rivali, i traditori, la polizia, i nuovi boss che vorrebbero farlo fuori. David Chase, regista e ideatore della serie divenuta il prodotto di punta di Hbo, lo aveva preferito a Ray Liotta in quell’ormai lontano 1999, e da lì tutto è cominciato. Gandolfini per sei stagioni e oltre 80 puntate sarà Tony Soprano, il mafioso del New Jersey originario di Avellino (da parte di madre Gandolfini era napoletano) con cui vince diversi Emmy e che farà di lui un’icona pop degli anni zero. Si pentiranno, nell’ordine Fox, Nbc e Cbs che rifiutarono prima di Hbo di mettere in produzione la serie. Un dirigente della Nbc confesserà: «Se avessimo prodotto il serial Gandolfini non avrebbe neppure partecipato al casting, così sovrappeso e quasi calvo. Qualcuno avrebbe sicuramente obiettato di prendere qualcuno di più sexy…».

Del suo «metodo» – aveva studiato con la tecnica Meisner – Gandolfini diceva: «Quando sei stanco basta bere sei tazze di caffè e mettersi i sassi nelle scarpe. Assurdo ma funziona». E per riuscire a trovare il tono giusto nella perfomance concentrava la sua rabbia. Sullo schermo cinematografico, quest’anno, lo abbiamo visto nel magnifico Zero Dark Thirty di Katrhyn Bigelow, e sull’Iraq Gandolfini aveva prodotto un documentario, Alive Day Memories: Home From Iraq and Wartorn: 1861-2010, sulla storia del trauma post bellico tra i soldati.