Quattro panchine gialle a Fiumicello, paese natale di Giulio Regeni, e una tela con metà del suo volto, realizzata dagli studenti del liceo Petrarca di Trieste, lo stesso frequentato dal ricercatore italiano ucciso al Cairo nel 2016. Sono due delle iniziative che ieri, quinto anniversario dal rapimento, hanno voluto ricordare Giulio e la spinta – mai evaporata – per la verità e la giustizia.

Gli studenti, che di loro iniziativa hanno celebrato la vita di Regeni, hanno preso parte alla fiaccolata virtuale insieme ad Amnesty International e Articolo 21, alle 19, seguita da un video messaggio di Paola Deffendi e Claudio Regeni, i genitori: «La verità la intravediamo, com’è dimostrato dall’iscrizione nel registro degli indagati dei quattro ufficiali egiziani – hanno detto ieri sera insistendo a chiedere il ritiro dell’ambasciatore italiano dal Cairo e lo stop alla vendita di armi – La giustizia continuiamo a cercarla».

«Abbiamo sentito tante parole vuote delle istituzioni, ma anche bugie – ha aggiunto Paola – non da ultimo un ex presidente del Consiglio (Renzi, ndr) che ha detto di esser stato avvisato appena il 31 gennaio della scomparsa di Giulio».

In mattinata a Fiumicello erano state inaugurate, alla presenza della famiglia e della sindaca Sgubin, quattro panchine gialle attorno alla farnia che gli amici piantarono nel febbraio 2016 nel parco dedicato al ricercatore, «un luogo della comunità – si legge nel cartello – di incontro ma anche di riflessione, di attesa e di inclusione». In serata, alle 19.41, l’ora dell’ultimo messaggio inviato da Giulio cinque anni fa, i social si sono «colorati di giallo», con foto, disegni e candele.

Ma ieri è stata anche la giornata delle istituzioni. Il primo a ricordare Giulio è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Rinnovo l’auspicio di un impegno comune e convergente per giungere alla verità e assicurare alla giustizia chi si è macchiato di un crimine che ha giustamente sollecitato attenzione e solidarietà da parte dell’Unione europea. Si tratta di un impegno responsabile, unanimemente atteso dai familiari, dalle istituzioni della Repubblica, dalla intera opinione pubblica europea».

Ha parlato il presidente della Camera Roberto Fico, da tempo impegnato al fianco della famiglia Regeni: serve, ha detto ieri all’arrivo a Fiumicello «una revisione della legge per la vendita delle armi che preveda maggiori restrizioni».

Per tutta la giornata sono seguite, come un fiume, le dichiarazioni dei rappresentanti di ogni partito italiano, stridenti: tutti loro, una volta transitati al governo, hanno proseguito nei rapporti diplomatici, commerciali e militari con il regime di al-Sisi, nonostante i risultati raggiunti dalla Procura di Roma che ha potuto dimostrare la responsabilità di almeno quattro agenti della National Security (non mele marce, ma generali e maggiori, i vertici) nel sequestro, le torture e l’omicidio di Regeni.

Il 29 aprile si terrà l’udienza preliminare davanti al gup di Roma Pier Luigi Balestrieri in merito alla richiesta di rinvio a giudizio di Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Sharif. Eppure ieri non è mancato nessuno all’appello dello sdegno, neppure l’Unione europea: in mattinata si è svolto il Consiglio degli esteri Ue e il ministro Di Maio ha presentato i risultati della Procura.

«Il suo barbaro omicidio è una ferita ancora aperta in Italia, ma oggi sono qui a confrontarmi con voi perché quella stessa ferita è inevitabilmente anche europea», così Di Maio ha aperto il suo discorso. «L’Italia ritiene l’Egitto un interlocutore cruciale nel Mediterraneo – ha continuato – e ritiene che il nostro compito in Europa sia quello di avviare un dialogo franco, costruttivo e trasparente con Il Cairo, ma non può avvenire a scapito dei diritti umani».

Dagli omologhi europei è arrivata «solidarietà», ribadita anche dall’Alto rappresentante Ue agli affari esteri Josep Borrell: «Continuiamo a esortare l’Egitto a cooperare in pieno con le autorità italiane sulle responsabilità, e affinché sia fatta giustizia». Ma di decisioni in merito alle relazioni con il regime egiziano (anche alla luce della risoluzione approvata a metà dicembre dall’Europarlamento che chiede sanzioni ed embargo) non ne sono giunte.

Eppure di modi per intervenire ce ne sono. Li sottolinea in una lettera inviata a Di Maio Rete Italiana Pace e Disarmo: bloccare per tre anni le autorizzazioni italiane ed europee all’esportazione di armi all’Egitto. «Non penalizzerebbe il nostro Paese – si legge nella lettera – ma anzi avrebbe l’effetto di coinvolgere tutti gli Stati membri». Come? Attraverso la Posizione comune del Consiglio 2008/944 che combatte la concorrenza sleale tra i paesi Ue facendo sì che le licenze militari non rilasciate da un Stato non siano concesse da altri membri.