«Indomite e affamate, in continua espansione». È l’istantanea che Lara Williams offre nella prima parte del suo romanzo d’esordio, Le divoratrici (Blackie edizioni, pp. 327, euro 18,90, traduzione di Dafne Calgaro e Marina Calvaresi). Fuor di metafora, è il cibo ciò di cui si racconta. Nella sua relazione inestricabile con il desiderio e con il bisogno, con se stesse e con gli altri. Le divoratrici è storia di donne in cui gli uomini sono sì presenti ma da comprimari di scadente livello accanto a imponenti personagge, cominciando da Roberta, la protagonista. Con altre ragazze, tra cui giganteggia Stevie, sorta di Erinni metropolitana da subito sua intima amica elettiva, decidono di fondare il Supper Club, un ritrovo separatista cui si accede dopo un breve colloquio su quali siano le paure della propria vita. È un posto di rivolta – in cui ciascuna trova finalmente la propria, per la prima volta potente.

LA NARRAZIONE si svolge in una città inglese non ben specificata ma contemporanea, fatta di lavori estenuanti e inutili, carriere che non decollano, assenze ed epifanie; ricorda, nella restituzione dei ritratti e scrittura corale, lo sfondo in cui gravitano le splendenti figure di Bernardine Evaristo in Ragazza, donna, altro. Antenate letterarie Roberta ne possiede però di altrettanto luminose, le stanno accanto Marian di La donna da mangiare firmato da Margaret Atwood, c’è il trauma dell’oralità riferito da Roxane Gay in Fame, infine sia pure di sguincio Marianne di Persone normali di Sally Rooney. Ce ne sono poi due, ancora più indietro nel tempo, che sapevano della mai neutra convergenza di desiderio e cibo: si chiamavano Alice Toklas e Gertrude Stein e si amavano profondamente.
Notevole l’intreccio fino alla minutaglia sentimentale con cui Williams gioca nell’arco degli anni, tra i 19 e i 30 di Roberta. L’ansia per il mondo viene mediata dalla cucina, dapprima «atto di civiltà» per una fame insaziabile che grida frustrazione, in seguito «una specie di atto radicale» verso il piacere da apprendere e condividere insieme ad altre donne, chiave di volta quest’ultima che spalanca tutte le porte, compresa quella, talvolta dolorosa, dell’amore per gli uomini, fino a quando si imparerà a trovarne qualcuno capace di dare parola al proprio desiderio libero – perlomeno.

Durante il Supper Club si allena il proprio appetito, somiglia a un vecchio gruppo di autocoscienza femminista degli anni Settanta sia pure assai più festante, si mangia tantissimo, la cuoca è Roberta che sui fornelli mette tutta l’energia che non le è stata riconosciuta mai, allenta la vergogna, scalza la solitudine, congeda il suo autolesionismo adolescenziale e il tedio e l’inedia divengono pietanze commestibili, con attenta ricerca per recuperare alimenti spesso ancora sigillati di cui altri si disfano con sgarbo; tortini, creme, stufati, soufflé e ricette a non finire. Il segreto è nutrirsi imparando a distanziare la deiezione, nella esperienza di esclusiva che è preparare qualcosa da consumare possibilmente insieme ad altri e altre.

NEL SUPPER CLUB si chiacchiera, si balla, ci si spoglia, si beve tutta la notte e si assumono droghe, senza alcun obbligo. Il primo sguardo senza disgusto è stato per Roberta quello di Stevie, la ama e le è grata ma non glielo sa dire. Anche per questo è un libro politico, ci si allarga e sperimenta contro l’inappetenza angosciante che ci sovrasta. Una regalità di creature che si sono immaginate corpi senza forma per lunghissimi anni, è stata ordinata loro sobrietà secondo cui la misura – di grande guadagno per ogni essere umano – non la stabiliscono le dirette interessate ma un adeguamento al ribasso di ogni eccedenza femminile. Diventa dunque importante avere chiaro che la divoratrice è anche la divorata, in stretto legame con la sessualità. Fantasticare di essere assimilata, riempita per non essere abbandonata, risputata ed espulsa. Intellettuali, quasi tutti, possono fare banchetto di te, rammenta Williams.

E tu con quel compiacimento strisciante devi farci i conti. Ammetterlo, sentire da dove viene forse. Anche quando a un certo punto confidano che ti staccherebbero volentieri la testa per prendersene cura, perché avranno anche studiato ma preferiscono il monologo e alla scomposizione di un corpo di donna non intendono rinunciarci. Amati e compresi, questi uomini con cui si vorrebbe condividere la propria vulnerabilità sono spaventati dalla perdita. E non lo sanno dire. Lara Williams descrive con dovizia un copione comune: danno lezioni su tutto, cominciando dal come e quanto si dovrebbe sentire. Spesso è così che cova la violenza.

SONO PERÒ FASI UTILI per Roberta, e per molte sue simili prevalentemente eterosessuali – nel mondo e dalla notte dei tempi -, si intuisce infatti cosa significhi restringere la propria libertà, farsi piccole. Tanto vale allora desiderare ancora più spazio per sé, saper dire «non ho ancora finito», scegliere la cospirazione collettiva, magari un bel Supper Club in cui almeno si ride. Una volta tanto. E a un volume altissimo.