Siamo messi male. Il collasso della società umana diventa ogni giorno uno scenario più plausibile. Le buone notizie sono sempre più scarse e mai sufficienti a contrastare la marea nera delle cattive notizie. In ogni caso, le une e le altre hanno sempre meno spazio, compresse tra fake news e questioni assai meno importanti che guadagnano una visibilità tale che facciamo fatica a immaginarcene le ragioni.

Emblematico in tal senso quanto accaduto negli ultimi dieci giorni con il rapporto annuale dell’Onu sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo. Per il terzo anno consecutivo (segno che non stiamo parlando di una tendenza) il rapporto certifica l’aumento del numero di persone che soffrono fame e malnutrizione, perché è loro negato l’accesso a sufficienti razioni di cibo: nel 2018 siamo saliti a 821,6 milioni di persone, l’1,3% circa rispetto all’anno precedente, che parlando di vite umane – spesso bambini – non è esattamente una crescita trascurabile.

Già questa notizia dovrebbe bastare a rendere evidente la drammatica deriva del genere umano, che nel 2019 è in grado di realizzare sempre più straordinarie tecnologie utili a soddisfare bisogni marginali, ma non riesce a sfamare tutti gli abitanti della Terra pur avendo a disposizione cibo in abbondanza rispetto al fabbisogno degli attuali 7,5 miliardi di abitanti (secondo dati Fao, ce ne sarebbe a sufficienza per nutrire 12 miliardi di persone).
Sempre stando al rapporto Onu, ci tocca prendere atto anche dei 2 miliardi di esseri umani che vivono in condizioni di moderata o grave insicurezza alimentare, senza però dimenticare – paradosso estremo e vertice dell’assurdo – ben 672 milioni di adulti obesi.

L’obiettivo fame zero entro il 2030 è uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (il numero 2): essi sono nati proprio perché, al netto delle politiche dei governi nazionali e delle prediche dei leader di passaggio, la situazione è grave e la comunità internazionale ne è ben cosciente. Crisi climatica e collasso degli ecosistemi sono vicini al punto di non ritorno e proprio al 2030 è stata fissata la data entro la quale attuare quegli obiettivi. Fallire proprio sull’azzeramento della fame nel mondo, la sfida che ha visto impegnata la comunità internazionale da più tempo (decenni prima che nascessero gli obiettivi di sviluppo sostenibile), è il segno più evidente della nostra attuale debolezza.

Non stiamo qui a ripetere quanta sia la responsabilità dei governi, delle multinazionali, dei gruppi di potere: la storia ormai è nota, anche ai meno attenti. Preme invece portare all’attenzione il fatto che ancora pochi anni fa la pubblicazione di questi dati avrebbe generato un minimo sussulto di coscienze, anche solo per breve tempo. Oggi, per il terzo anno consecutivo (non un caso sporadico ma una evidente tendenza), le reazioni della gente sono quasi impercettibili.

Difficile spiegare il motivo di questa sensibilità calante, a meno che non si voglia ricorrere alle scorciatoie di facili associazioni con il quadro politico attuale o le campagne di falsificazione della realtà che governano sempre più l’informazione. Limitiamoci a constatare con amarezza quanto accade, coscienti del fatto che se non c’è volontà di mettere a segno nemmeno il più forte, il più chiaro e il più conosciuto dei 17 goal che dobbiamo realizzare per vincere la grande sfida che ci attende, sarà davvero difficile sperare nel successo su tutti gli altri.

La buona notizia, a volerla cercare a tutti i costi, è che se ci chiediamo da dove bisogna partire, la risposta è chiara: obiettivo numero 2, fame zero.