La cosa che mi colpì maggiormente nella mia ultima visita del Kazakistan due anni fa fu l’assoluto senso di esasperazione (fra tutte le categorie sociali) nei confronti di una mafia politica parassitaria e sovente senza ritegno nella sperequazione delle risorse pubbliche. Con l’ulteriore impoverimento causato dalle restrizioni pandemiche, la massa critica per l’esplosione di rabbia proletaria osservata questa settimana era pronta ad attivarsi.

Se quest’ultima non doveva stupire più di tanto – sono la povertà, le diseguaglianze l’oppressione subita la vera ragione della protesta di massa – rimane che nel definire gli equilibri di un paese strategico quale il Kazakistan intervengono molti fattori legati alla dimensione estera.

Spalleggiato dalla Russia e dagli altri regimi dell’area Csi, il presidente Tokaev ha imputato il disastro a sedicenti «forze esterne». È assai strumentale, ma vista la rilevanza del ruolo kazakho, esistono pure queste.Vi è sicuramente l’oligarca in esilio Muktar Ablyazov (già protagonista delle cronache italiane nel 2013, quando il governo Berlusconi acconsentì alla deportazione della famiglia su richiesta kazaka), il quale dispone di risorse e reti attivabili sul terreno per sfidare le autorità. Di certo esiste anche la rete transnazionale delle «rivoluzioni colorate».

Questa parodia liberale del “Comintern”, si compone di migliaia di (ormai neanche più tanto) giovani oppositori dei suddetti regimi che trovano in Polonia, nell’Ucraina post-Maidan e in altri avamposti della Nato strutture di supporto e mobilitazione per cambi di regime pilotati. Data l’attuale politica aggressiva che gli Usa conducono contemporaneamente verso Russia (fronte ucraino) e Cina (Taiwan, Aukus), gli anglo-americani hanno sicuramente ogni interesse a destabilizzare un paese importante per il partenariato strategico russo-cinese quale il Kazakistan.

Tale dato spiega la rapidità con cui la Russia ha risposto all’appello di Tokayev per far intervenire le forze dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Otsc), la “NATO orientale” a guida moscovita. Putin vuole evitare sorprese nell’enorme territorio confinante del paese, sorta di «ventre molle» per la potenza russa. Ma l’intervento Otsc costituisce un passo estremamente rischioso, che potrebbe innescare linee di conflitto interetniche fra kazaki, russi ed altre minoranze.

Esso può aver senso solo se resta limitato alle infrastrutture strategiche (cosmodromo di Baikonur in primis) in modo da alleggerire il carico per le forze di sicurezza nazionali.

In ogni caso, per capire la crisi in corso bisogna porsi nella prospettiva dei gruppi oligarchici nazionali cresciuti alla corte dell’ex-presidente Nazarbayev nei tre decenni del suo regno. Da questo ibrido fra elementi di «dispotismo orientale» e modelli liberali e liberisti anglosassoni, grazie alla gigantesca dotazione di risorse energetiche, si sono originati enormi capitali, oggi sotto chiave in banche occidentali.

A mano a mano che il dittatore invecchiava, parenti, amanti e cortigiani vari hanno messo le mani su parti del bottino sottratto al popolo. Secondo una versione circolata sui social locali, la scintilla principale della rivolta sarebbe stato il decesso di Nazarbayev (che da fine dicembre è scomparso dallo spazio pubblico) con il conseguente scatenarsi della faida interna per le sue ricchezze. In tale scenario, i gruppi oligarchici avrebbero interesse ad indebolire il governo di Tokayev per impedirgli di prendere il controllo delle risorse.

Una tale lettura spiegherebbe perché l’apparato di sicurezza abbia dato una tale pessima prova di sé nel mantenimento dell’ordine pubblico. Su tali linee vi è anche chi vede un interesse russo a mettere il Paese sotto chiave per impedire una deriva pro-occidentale.

La situazione è in ogni caso critica. Nella migliore ipotesi, Tokayev dovrebbe riprendere il comando sulle strutture di sicurezza tenendo separate le forze OTtsc dai rivoltosi. Su tali basi, previa prosecuzione delle figure più odiose del regime (o almeno riconducendo in patria le enormi fortune da esse sottratte al bene pubblico), il presidente potrebbe avviare un processo di riconciliazione in cui leader in esilio quali Ablyazov reintegrino l’arena politica.

Ma la realtà del Kazakistan è dominata da una profonda frammentazione geografica ed antropologica. I Kazaki, oltre ad essere un popolo volitivo ed esasperato, sono anche estremamente divisi su linee regionali e tribali. In un tale paese, senza un potere forte è quasi impossibile mantenere le molte articolazioni socio-politiche sotto un quadro unitario. Data la presenza dei citati (e numerosi) spoilers esterni non mancheranno dunque occasioni in cui la situazione tenderà a sfuggire di mano.

In particolare, i soldati Otsc potrebbero venirsi a trovare a rivivere la sorte dei loro padri sovietici in Afghanistan dopo il 1979, bersagli di rappresaglie supportate dalle reti islamiste, ben presenti in Kazakistan.