Il lungo ’68  è il titolo del convegno che si terrà, a partire da questa mattina a Roma, organizzato da Rifondazione Comunista. Un simposio che si svolgerà in un luogo simbolico del movimento romano e cioè presso la Facoltà Valdese di teologia (via Pietro Cossa 42).
Con le relazioni introduttive di Maria Luisa Boccia, Luigi Ferrajoli, Raul Mordenti, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Pasquale Voza, con i molti altri interventi programmati, si cercherà di dar conto dei diversi aspetti e delle differenti soggettività entrate in campo nel ’68 italiano. In particolare si proverà a ricostruire un quadro delle connessioni, inedite, che proprio in quella fase rivoluzionaria videro la luce. Si continuerà poi analizzando in specifico alcuni aspetti particolari del 68: i suoi assi culturali, il ruolo del mezzogiorno e il ruolo dei cristiani. Gli interventi saranno tesi a una maggiore comprensione di cosa sia stato il ‘68, rovesciando i luoghi comuni del revisionismo storico imperante che propina quella data come l’atto di nascita del terrorismo, mentre ne era, nel suo protagonismo di massa, il contrario.

LA VERA CIFRA del convegno e la sua particolarità rispetto a molte altre rievocazioni avvenute nel corso dell’anno, risiede però nel suo titolo: Il lungo ’68. L’ipotesi su cui è nato questo convengo vuole sottolineare le relazioni tra la lunghezza e la solidità del ciclo di lotte che scaturisce dal ’68 e la costruzione di istituzioni di movimento, la modifica dei corpi sociali intermedi, la costruzione di nuovi aggregati socio-politici che si collocano in un terreno meta politico.
Il ’68 italiano non ha prodotto tanto una sedimentazione cristallizzata di organizzazioni ma piuttosto ha vivificato il clima e l’abitat in cui si svolgono il complesso dei rapporti sociali, generando nuove pratiche e strutture di autogoverno. Ha unito la rivolta con la costruzione delle «casematte», in un inedito intreccio tra guerra di movimento e guerra di posizione. Anche per questo, oltre a essere un fatto generazionale è stato qualcosa di profondamente politico: il ’68 e il ’69 – suo parente prossimo – non hanno semplicemente contestato il sistema valoriale e politico: li hanno modificati radicalmente. Il ’68, per una lunga fase ha reso ridicole e indicibili tutte quelle scempiaggini politico-valoriali ritornate in scena nella rivoluzione conservatrice attuale.

CAPIRE MEGLIO il ’68, la sua carica rivoluzionaria e la forza della sua longue durée, significa interrogarsi su come sovvertire la controrivoluzione in atto, segnata dalla passivizzazione dei soggetti sociali e dalla perdita di senso delle narrazioni non legittimate dal potere, segnate della paura e della percezione dell’ora presente come degrado, come «tramonto dell’occidente». Significa, infine, ragionare sulla sua durata e sul perché oggi quel ciclo di lotte sia così duramente attaccato e denigrato, sul rapporto tra universalismo e particolarismo.