Ora che la crisi sembra finita, l’australiano Steve Keen, professore di economia alla Kingston University di Londra, si domanda: Possiamo evitare un’altra crisi finanziaria? (Imprimatur, pp. 145, euro 14). La risposta che dà al quesito è «no, non possiamo evitare le crisi finanziarie nei futuri zombie da debito, poiché i prerequisiti economici di eccessivo debito privato e di eccessivo affidamento al credito sono già stati posti» .
Gli «zombie da debito» sarebbero quei paesi i cui livelli di debito privato sono alti, stanno crescendo molto più rapidamente del Pil e al contempo sono diventati sempre più dipendenti dal credito per il sostegno alla domanda e ai redditi. Quando il credito crollerà la loro domanda interna precipiterà facendo piombare le loro economie in recessione.

IL CUORE del ragionamento dello studioso australiano prende le mosse dalla critica del pensiero economico mainstream. Pensiero che fino allo scoppio della crisi del 2008 considerava la microeconomia come l’unica dimensione con cui si potevano interpretare i fatti economici e lo stato di equilibrio sarebbe una condizione naturale per i singoli attori in campo.
Nessuna aggregazione e interazione viene contemplata, in definitiva non si ha nessuna percezione della complessità su cui si sviluppa un sistema economico e si finisce per ignorare il livello dei prezzi e la distribuzione del reddito. Una variazione nei prezzi può invece modificare la domanda tra diversi mercati, in quanto può accadere che «la caduta di prezzo riduce i redditi dei suoi consumatori più di quanto i prezzi relativi più bassi ne incoraggino la domanda».

Il pensiero economico dominante non prendeva nella dovuta considerazione il credito, il debito, il ruolo della crescente massa monetaria. Anzi accusava di «illusione monetaria» coloro che non consideravano la moneta come una sorta di «velo sul baratto». Nella ricerca di indizi per spiegare una crisi, il pensiero mainstream aveva più cose in comune con «Peter Sellers e la sua creatura comica, il goffo detective Ispettore Clouseau, che con Sir Arthur Conan Doyle e Sherlock Holmes». Esso non considerava il ruolo delle banche nell’attività di prestito e nell’offerta di moneta attraverso il credito. Sono spesso disponibili dati sulle dimensioni del credito, ma molto meno sulla quantità di moneta in circolazione.
L’ipotesi di Keen è che la spesa aggregata in una economia sia «grossolanamente» la somma del Pil più il credito erogato e che tale somma generi sia i redditi sia le plusvalenze finanziarie. La domanda totale in economia è la somma del volume della moneta esistente e del credito erogato, cioè la variazione di debito privato.

NEGLI USA il credito concesso era passato dal 6% del Pil nel 1945 al 14% nel 2006, mentre il debito privato era del 37% del Pil nel 1945 e saliva al 165% nel 2008. Nel Regno unito tali tendenze erano ancora più marcate. Un rallentamento del tasso di crescita del debito privato avrebbe condotto a un crollo della domanda totale. La droga monetaria, dunque, ha condotto a insostenibili espansioni finanziarie più che economiche, espansioni contraddistinte dall’aumento dell’effetto leva.
In questo quadro, come affermato da Minsky, i programmi di investimento che superano i profitti non distribuiti vengono finanziati con il debito. In una fase di euforia, poi, i finanziamenti vengono concessi a maglie larghe, finendo per accumulare perdite. Il rallentamento del debito seguente dà vita a una fase di crollo dell’economia in generale. Questo è ciò che è avvenuto a partire dal 2008.
L’economia politica del debito si è rilevata la causa della crescita drogata prima e della crisi dopo. L’autore forse riflette poco sugli effetti di un’economia reale imballata da tempo, come è eccessivamente sbrigativo nelle soluzioni da adottare, seppure individui i rischi che tuttora corrono intere economie dove la crescita viene stimolata con il credito e i ritmi di crescita del debito superano quelli del Pil, vincolando domanda e redditi al credito stesso.