Nella complicatissima neolingua dell’Unione europea si chiamano Omt, sigla inglese che sta per Outright monetary transactions, cioè «operazioni monetarie definitive»: altro non sono che le misure concrete in cui consiste quella «salvaguardia dell’euro con ogni mezzo» che il presidente della Bce Mario Draghi annunciò nel luglio del 2012. In breve, l’acquisto senza limiti di titoli di stato dei Paesi in crisi da parte dell’istituto di Francoforte nel mercato secondario dei bond. Una misura che non è stata mai messa in pratica, ma il cui semplice annuncio servì, nei momenti più acuti della crisi dell’euro, a calmare almeno un po’ la speculazione. E, forse, a salvare la moneta comune.

Una scelta controversa, quella di Draghi, che in Germania non piacque a tutti: accettata a denti stretti dall’esecutivo cristiano-liberale di Angela Merkel allora in carica, venne criticata duramente dalla Bundesbank, da esponenti euroscettici dei partiti di governo e da organizzazioni sociali. Critiche che si trasformarono in un ricorso di fronte alla Corte costituzionale: l’ordinamento tedesco ammette, infatti, che singoli cittadini, partiti o associazioni possano direttamente chiamare in causa i «giudici delle leggi» se ritengono che un potere pubblico abbia violato la costituzione. In questo caso, sul banco degli imputati erano tanto il governo quanto il parlamento, accusati di non avere impedito quello che i ricorrenti ritengono un abuso di potere della Bce, ai danni anche dei cittadini tedeschi.

I magistrati di Karlsruhe – la cittadina della Germania meridionale dove ha sede la Corte – hanno deciso, per la prima volta, di non decidere. Dopo anni di attivismo giudiziario, in cui ogni momento-chiave della vita della Ue era sottoposto a un severissimo controllo (celebri le sentenze «Maastricht» e «Lisbona»), ieri hanno reso noto di avere passato la palla alla Corte di giustizia Ue di Lussemburgo. Saranno dunque i togati europei a dover decidere se le «operazioni monetarie definitive» sono conformi al diritto comunitario, e quindi se le istituzioni politiche tedesche hanno avuto ragione a fare come quelle di tutti gli altri Paesi, cioè accettare senza opporsi la scelta di Draghi.

Un’ordinanza, quella della Corte di Karlsruhe, che tuttavia non rinuncia a far sapere come la pensino i «custodi della Costituzione» tedesca: per la maggioranza di loro (ci sono stati due voti in dissenso), esistono «ragioni di un certo peso per ritenere che la Bce sia andata oltre il mandato affidatole per la politica monetaria, e che pertanto abbia sia invaso la sfera di competenza degli stati, sia violato il divieto di finanziamento dei Paesi membri». E cioè: se Francoforte si comporta anche solo lontanamente da «vera» Banca centrale, da «prestatore di ultima istanza», per gli ermellini tedeschi è un peccato mortale. Un’opinione che, almeno in questo caso, non ha effetti giuridici, e quindi non preoccupa più di tanto né la Commissione europea, né la stessa Bce: i commenti di ieri erano tutti improntati a una tranquilla soddisfazione, nella consapevolezza che i giudici del Lussemburgo saranno di altro avviso.

Prudenza nelle reazioni del governo di Berlino, che sottolinea come il suo consenso al piano della Bce sia dipeso dalla rigide condizioni a cui gli eventuali acquisti dei bond sono sottoposti: tradotto, le immancabili «riforme». Tasto su cui batte, ma con altre intenzioni, anche la Linke, che chiede, attraverso Sahra Wagenknecht, che l’istituto guidato da Draghi «venga finalmente posto sotto un controllo democratico».