Il presidente francese Emmanuel Macron è stato di parola: lo scorso dicembre, mentre all’Eliseo insigniva il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi della Legion d’Onore francese, aveva detto che il business non può farsi condizionare dal rispetto dei diritti umani.

E così, in barba alla risoluzione dell’Europarlamento del 18 dicembre 2020 che invitava gli Stati membri all’embargo militare verso Il Cairo, ha concluso un altro affare: ieri è stata annunciata la vendita di 30 jet Rafale al regime egiziano, 4,5 miliardi di dollari a cui si aggiungono altri 241 milioni per missili Mbda e altro equipaggiamento militare.

SUBITO È GIUNTA la reazione delle organizzazioni per i diritti umani, a partire da Human Rights Watch Francia che attraverso il suo direttore Benedicte Jeannerod ha accusato Parigi di complicità nella repressione istituzionalizzata del paese nordafricano: «Firmando un mega-contratto con il governo di al-Sisi che presiede la peggiore repressione degli ultimi decenni in Egitto, lo sradicamento della comunità dei diritti umani nel paese e gravissime violazioni dietro il pretesto di combattere il terrorismo, la Francia sta solo incoraggiando questa brutale repressione».

L’altra domanda è chi pagherà il conto, vista la situazione economica non idilliaca che vive l’Egitto ormai da anni. Seguendo il modello italiano (le due fregate Fremm di Fincantieri partite per l’Egitto sono state coperte da prestiti di Cassa Depositi e Prestiti, Sace, Intesa Sanpaolo, Bnp Paribas e Santander), l’acquisto dei jet francesi sarà pagato in dieci anni e l’85%, secondo il sito Disclose, verrà coperto dallo stesso Stato francese attraverso BNP Paribas SA, Credit Agricole, Societe Generale e CIC.

La notizia giunge mentre il governo egiziano si appresta a lanciare la seconda fase del programma di riforme economiche iniziato nel 2016, quando si aprì a privatizzazioni, aumento delle bollette e taglio dei servizi pubblici e dei sussidi ai poveri per ottenere il condizionato prestito da 12 miliardi di dollari dell’Fmi.

IL CAIRO PROMETTE che stavolta il peso non ricadrà sulle classi medie e basse, già ampiamente impoverite dalle scelte economiche del regime e dalla chiusura di fabbriche storiche; che investirà in salute, welfare e istruzione; e che prevederà 4,6 miliardi per gestire la pandemia.

Ma gli egiziani non si fidano. Gli ultimi anni hanno visto lo stallo dei salari a fronte di prezzi in crescita, una realtà che ha spinto il 30% della popolazione sotto la soglia di povertà e un altro 30% poco sopra.