La strada per la metanizzazione della Sardegna, l’unica regione italiana fuori della rete di distribuzione di questa fonte di energia, sembra spianata. Il 20 dicembre al ministero dello Sviluppo economico la conferenza delle Regioni ha dato parere positivo alla versione del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) così come emendata dalle Regioni, Sardegna compresa. E nel testo sono state accolte alcune osservazioni chiave avanzate dalla giunta sarda, sostenuta da una maggioranza di centrodestra (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Partito sardo d’azione). In particolare, il piano prevede che i depositi di gas sulle coste sarde siano collegati ai centri di stoccaggio nazionali attraverso un regolare servizio di collegamenti marittimi e che dalle coste il gas sia poi distribuito dappertutto nella regione. Come? Qui la questione è ancora aperta.

C’È UN PROGETTO DI COSTRUZIONE DI UN GASDOTTO (la cosiddetta “dorsale”) che dovrebbe attraversare da nord a sud tutta la regione. Lo ha presentato Enura, una joint venture di Snam e Società gasdotti Italia. Ma non è detto che la cosa si faccia. Bisognerà aspettare l’esito dello studio, commissionato a luglio da Arera (l’Autorità nazionale per l’energia) alla società di ricerca RSE-E, sul rapporto costi-benefici di tutte le opzioni possibili. Oltre all’ipotesi del metanodotto, poi, c’è la possibilità che il gas dai depositi costieri sia distribuito alle reti locali attraverso autocisterne. Senza contare, infine, che è ancora il campo un progetto radicalmente alternativo a quello del metanodotto, quello che Terna (il gestore della rete di trasmissione italiana in alta tensione, leader nella trasformazione del mercato elettrico verso fonti eco-compatibili) ha presentato per la costruzione di un elettrodotto che dovrebbe partire dalla Sicilia. La consegna del report della RSE-E, verdetto definitivo sulla convenienza del metanodotto, è prevista per aprile. Nel frattempo in Sardegna il dibattito e la polemica crescono.

DECISAMENTE CONTRARIO ALL’IPOTESI DELLA DORSALE (costo poco meno di due miliardi di euro) tutto il fronte ambientalista. A cominciare dal movimento Fridays for future. «Ogni giorno – dice il portavoce Lorenzo Tecleme – il leader di turno prende impegni in nome “delle future generazioni”, “dei nostri figli”, “del bene dei ragazzi”. Ma quando, per la prima volta da decenni, milioni di giovani scendono in piazza con richieste ben precise, nessuno li ascolta per davvero. Quanto sta accadendo in Sardegna è paradigmatico: tutti ci hanno applaudito durante gli ultimi #globalstrike, ma quando si trovano nella stanza dei bottoni gli stessi leader politici che ci elogiavano votano a favore della metanizzazione della Sardegna. Invece che abbandonare i fossili, i nostri governanti scelgono di investire per portarne di nuovi».

IL NO DI FRIDAY FOR FUTURE SI ARTICOLA IN TRE PUNTI: «Primo, il metano non è affatto, come si dice imbrogliando le carte, una fonte di energia pulita. E’ un potente climalterante che recenti studi suggeriscono essere addirittura più pericoloso del carbone. Secondo, non ci sono più i margini temporali per una transizione dal petrolio al gas e poi – chissà quando – dal gas alle rinnovabili. Bisogna abbattere le emissioni subito, raggiungere la carbon neutrality a livello globale nel 2050, e in Europa molto prima. Obbiettivi tanto tassativi quanto incompatibili con il piano di metanizzazione dell’isola. Terzo, non è vero che il riscaldamento globale sia un problema solo per pinguini e orsi polari: oltre il 30% della Sardegna è a rischio desertificazione, città come Cagliari, Olbia, Oristano sono messe in pericolo dall’innalzamento dei mari mentree ancora piangiamo i morti delle ultime alluvioni, sempre più frequenti e intense grazie al cambiamento climatico». «Tutto questo – conclude Tecleme – in una regione che avrebbe le caratteristiche fisiche, demografiche ed economiche adatte per renderla 100% rinnovabile in pochissimo tempo, alleggerendo, tra l’altro, le bollette. A chi ha in mano il potere diciamo: siate adulti, ma per davvero. Scegliete per il bene di noi giovani e non delle lobbies».

ANCHE IL COMITATO NO METANO CHIEDE ALLA REGIONE Sardegna l’adozione di politiche energetiche basate sul passaggio dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili. «Una scelta – dice una delle coordinatrici, Paola Pilisio – che, a differenza della metanizzazione, preserverebbe salubrità ambientale e salute umana, binomio da molti anni fortemente compromesso in Sardegna a causa dell’inquinamento industriale. Esiste oggi nell’isola una straordinaria concomitanza di fattori che rende percorribile sin da subito questa strada. Percorriamola».

AGLI ASPETTI SANITARI DELLA QUESTIONE è particolarmente sensibile la sezione sarda dell’Isde (International Society of Doctors for environment). «L’arrivo del metano in Sardegna – dice il presidente Domenico Scanu – non produrrà gli effetti promessi nella lotta al riscaldamento globale e contribuirà ad accrescere le già importanti ricadute sanitarie negative derivanti dalla combustione delle fonti fossili». «Il gas naturale – aggiunge il portavoce del Gruppo di intervento giuridico Stefano Deliperi – è una fonte di energia che comporta l’emissione di gas serra e di altri inquinanti atmosferici. Allo stato, perciò, o il metano sostituisce altre fonti fossili più inquinanti (il petrolio e i suoi derivati e il carbone) oppure è dannoso. Ma, soprattutto, il gas arriverebbe troppo tardi in Sardegna, non prima del 2025, quando ormai le fonti rinnovabili saranno il pane quotidiano della produzione energetica. Che senso ha andare oggi in controtendenza?». Sulla stessa linea Angelo Cremone, portavoce di Verdes: «La metanizzazione avrà un costo altissimo. Quasi due miliardi. Soldi che sarebbero spesi molto meglio se fossero impiegati come incentivo alle famiglie sarde per l’acquisto di impianti fotovoltaici ad alto valore energetico. Il futuro non è il metano. Il futuro sta da un’altra parte».